Con
la sentenza in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono
intervenute per dirimere un conflitto giurisprudenziale venutosi a creare nel
tempo in relazione al delitto di "prostituzione minorile" e relativamente al c.d. "fatto del cliente".
Con ordinanza dirimessione dell'11 giugno 2013 (depositata il 24 luglio 2013) la Terza Sezione della Corte di
Cassazione poneva alle S.U. i seguneti quesiti:"se il concetto di induzione
alla prostituzione minorile sia integrato dalla sola condotta di promessa o
dazione di denaro o altra utilità posta in essere nei confronti di persona
minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali
esclusivamente col soggetto agente; se il soggetto attivo del reato previsto
dall'art. [600-bis] comma 1, cod. pen. possa essere colui che si limita a
compiere atti sessuali col minore".
Nel
procedimento che ha portato all'ordinanza di rimessione alle S.U. era accaduto
che l'imputato, un uomo adulto, aveva compiuto in più occasioni atti sessuali
con tre ragazzini minorenni di origine straniera, in cambio di ospitalità, di piccole
somme di denaro e di "modeste regalie".
I
ragazzini, al momento dei fatti, avevano un'età prossima ai diciotto anni e,
alla luce di quanto accertato dall'istruttoria di merito, non risultavano
essere stati oggetto né di minacce né di particolari condizionamenti, così come
si erano sempre "riservati la facoltà di negare
gli atti troppo invasivi" e spontaneamente recati presso
l'abitazione dell'uomo.
La
Corte
d'Appello di Brescia aveva condannato l'imputato a sei
anni e sette mesi di reclusione per il delitto
di "induzione alla prostituzione" minorile di cui all'art. 600-bis comma 1 c.p., per
averli comunque indotti a compiere atti sessuali con lui in
cambio di elargizioni di vario tipo.
Avverso
pronuncia della Corte d'Appello di Brescia il difensore dell'imputato aveva
presentato ricorso
per Cassazione, rilevando che i fatti, così come ricostruiti
dalla Corte d'Appello, sarebbero stati al più da ricondurre al delitto meno grave di cui al comma secondo
dell'art. 600-bis c.p., e non già all'ipotesi di
"induzione alla prostituzione" di cui al comma primo.
La
Terza Sezione
della Corte di Cassazione aveva rilevato la presenza, nella giurisprudenza di
legittimità, di due orientamenti contrapposti in ordine alla nozione di
"induzione alla prostituzione", maturati nel corso del tempo.
Secondo
un primo orientamento, che richiamava il fenomeno della prostituzione
del maggiore di età, il c.d. "fatto del cliente", e cioè il
pagamento della prestazione sessuale, da solo non bastava ad integrare
una condotta di "induzione alla prostituzione" penalmente rilevante.
Accanto
a questo primo orientamento se ne riscontrava un secondo, ben
più rigoroso, in
forza del quale, in relazione alla fattispecie di "prostituzione
minorile" di
cui all'art. 600-bis c.p., il mero pagamento della prestazione sessuale del
minore da parte del "cliente" rappresenterebbe di
per sé una condotta di "induzione alla prostituzione" del
minore medesimo, tale da attrarre la condotta in esame nell'orbita della fattispecie
di cui al comma primo dell'art. 600-bis c.p. (che punisce con la reclusione da
sei a dodici anni chi "recluta
o induce" il minore alla prostituzione, al pari di chi "favorisce,
sfrutta, gestisce, organizza o controlla" la prostituzione del
minore).
Con
la sentenza n. 16207/2013 le Sezioni Unite hanno aderito al primo orientamento chiarendo
che il c.d. "fatto del cliente",
e cioè il mero compimento di atti
sessuali a pagamento con il minore, può rientrare esclusivamente
nella fattispecie meno grave di cui al comma secondo del delitto di cui
all'art. 600-bis c.p.,
non integrando di contro l'ipotesi di "induzione alla prostituzione"
descritta al comma 1 della medesima norma e punita assai più severamente.
*****
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
SENTENZA N. 16207/2013
RITENUTO
IN FATTO
1. Il Tribunale
di Brescia, con sentenza del 7 febbraio 2012, dichiarava S.L. responsabile dei
reati di cui agli artt. 609 bis, 600 bis e 610 c.p., escludendo la sola ipotesi
originariamente contestata di cui all'art. 609 quater c.p..
In
parziale riforma di quella pronunzia, la Corte di appello di Brescia - con
sentenza del 17 gennaio 2013 - assolveva il S., "perchè il fatto non
sussiste", da tutte le imputazioni diverse dal reato di cui all'art. 600
bis c.p., per il quale confermava la condanna rideterminando la pena principale
in anni sei e mesi sette di reclusione.
L'imputato,
in particolare, veniva ritenuto colpevole del delitto di cui all'art. 600 bis
c.p., comma 1, in relazione all'art. 81 c.p., comma 2, "perchè, con più
azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, induceva S.T.M., M.K. e S.C.,
tutti di età inferiore ai 18 anni, a prostituirsi, concedendosi a lui, che
compiva su di loro atti sessuali vari - toccamenti sul loro corpo interamente o
parzialmente denudato, strofinamenti del suo corpo contro il loro corpo, atti
di masturbazione da parte degli stessi su di lui - atti sessuali che egli
ricompensava con la consegna, ogni volta, di piccole somme di denaro dai 5 ai
10 Euro e talora anche ai 20 Euro - in (OMISSIS)".
2.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo
del difensore.
2.1.
Con il primo motivo è stata eccepita l'erronea applicazione della legge penale
quanto alla rilevanza delittuosa degli atti sessuali asseritamente compiuti
dall'imputato sulle persone offese.
Secondo
il ricorrente, non risponderebbe all'orientamento espresso dalla più recente
giurisprudenza di legittimità l'argomentazione secondo la quale abbracci
prolungati e massaggi al busto ed alle gambe (praticati peraltro con i vestiti
indossati), senza il consenso della persona offesa, integrino sempre e comunque
il requisito della corporeità sessuale, intesa in senso fisico e non
moralistico, ossia quel minimo indispensabile per potersi superare la soglia
della penale rilevanza.
Mancherebbe,
nella specie, la prova certa in ordine alla finalizzazione all'appagamento
sessuale di simili atti, dovendosi escludere - per altro verso - comportamenti
di costrizione fisica o psichica.
Nella
motivazione non vi sarebbe poi logica dimostrazione, nè adeguato substrato
probatorio, che vi sia stata una correlazione necessaria fra le dazioni e
offerte di denaro del ricorrente nei confronti dei minori e le
"prestazioni" da questi ultimi effettuate.
2.2.
Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta l'erronea applicazione della
legge penale, nonchè la carenza e/o illogicità della motivazione, quanto
all'inquadramento della fattispecie nell'art. 600 bis c.p., comma 1, in luogo
del comma secondo dello stesso articolo.
Il
difensore ha prospettato che, in difetto di tracce di forme di persuasione o
suggestione, pressione o coartazione morale da parte del S. nei confronti delle
vittime - tre ragazzi minorenni prossimi però al raggiungimento della maggiore
età - gli atti sessuali compiuti con costoro, in cambio di ospitalità loro
fornita e di modeste ancorchè sistematiche regalie in denaro, dovrebbero più
correttamente inquadrarsi nella fattispecie di minore gravità di cui comma
secondo della norma citata.
Secondo
l'atto di gravame, la sentenza impugnata da per scontato che si sia svolta una
attività di induzione, sotto forma di sollecitazione e blandizie, senza
peraltro che in motivazione venga spiegato in quale modo e con quali termini
tale attività si sia concretamente esplicitata; trattandosi, a tutto concedere,
di una libera e autonoma manifestazione di disponibilità agli incontri a
carattere sessuale, l'inquadramento pertinente al caso di specie potrebbe
essere, al limite, quello di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, e non già
quello di cui al comma 1.
2.3.
Il ricorrente ha lamentato, infine, il vizio di motivazione in ordine al
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giustificato
nella sentenza sulla scorta della notevole gravità dei comportamenti e dei
precedenti penali, senza tenere però nella giusta considerazione l'oggettivo
limitato disvalore complessivo dei fatti e la estrema lontananza nel passato di
quei precedenti (che aveva peraltro consentito che all'imputato fosse stata
concessa la riabilitazione).
3. Il
ricorso è stato assegnato alla Terza Sezione penale, la quale, all'udienza
dell'11 giugno 2013 (con ordinanza depositata il successivo 24 luglio), ha
ritenuto necessario investire le Sezioni Unite della valutazione "dei
profili di criticità interpretativa" riconducibili alla nozione di "induzione
alla prostituzione minorile" delineata dall'art. 600 bis c.p., comma 1,
con particolare riguardo all'ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti
integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità
posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere
una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.
Nell'ordinanza
di rimessione, il Collegio è partito dal considerare che, nella vicenda in
esame, i primi contatti sessuali si erano consumati in assenza di un accordo
fra il ricorrente e i minori in ordine ad un qualche compenso ed in assenza di
previa dazione di utilità, laddove invece i successivi approcci a carattere
sessuale erano stati accettati dai minorenni sul presupposto del ripetersi
delle regalie che il ricorrente aveva loro elargito al termine del primo
episodio.
In
relazione a tali vicende il Collegio rimettente ha effettuato, quindi, una
ricognizione delle posizioni giurisprudenziali in materia di "induzione
alla prostituzione" ed ha rilevato che l'utilizzo, da parte del
legislatore, del concetto di "induzione" anche con riferimento alla
"prostituzione minorile", per effetto del disposto di cui all'art.
600 bis c.p. (introdotto dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 2, e poi
modificato con la L. 6 febbraio 2006, n. 38, e successivamente con la L. 1
ottobre 2012, n. 172, art. 4), ha generato uno scostamento della giurisprudenza
di legittimità rispetto alle linee interpretative maturate con riguardo alla L.
20 febbraio 1958, n. 75 (nota come legge Merlin).
Nel
caso di parte lesa maggiorenne, è stato affermato, infatti, che la mera
prospettazione di vantaggi patrimoniali in cambio di prestazioni sessuali non
costituisce condotta induttiva se non accompagnata da condotte ulteriori, sub
specie di pressioni fisiche e psicologiche che, superando le resistenze di
ordine morale (o di altra natura) che trattengono la persona dall'attività di
prostituzione, incidono sulla libertà fisica e/o psichica della persona che
viene spinta a prostituirsi (Sez. 3, n. 36156 del 03/06/2004, P.M. in proc.
Nicolo, Rv. 229389).
Nell'ipotesi,
invece, di vittima minorenne, si è ritenuto - con un ben più rigoroso
orientamento - che la condotta induttiva può consistere anche nel mero
pagamento della prestazione da parte del "cliente", che persuada il
minore a consentire agli atti sessuali, non essendo peraltro necessario che la
persona sia "non iniziata e non dedita alla vendita del proprio
corpo".
E'
stato così affermato il principio secondo il quale "anche gli atti
sessuali a pagamento con minore, posti in essere in unica occasione con il solo
autore del reato, possono integrare la fattispecie di induzione alla
prostituzione" (principio enunciato per la prima volta da Sez. 3, n. 33470
del 04/07/2006, Cantoni, Rv.
234787
e successivamente ribadito dalla stessa Sezione con plurime decisioni).
Tale
interpretazione di maggiore severità viene correlata al quadro normativo
internazionale e sovranazionale in materia di sfruttamento della sessualità dei
minori, che impone "una tutela penale più pregnante per i minori, rispetto
agli adulti, perchè i primi sono soggetti manipolabili, inadeguati ad
autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che
possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo
psico-fisico" (Sez. 3, n. 4235 del 11/01/2011, Fusco, Rv. 249316).
Esposti
i nuclei essenziali degli orientamenti di legittimità formatisi
nell'interpretazione della nozione di "induzione alla prostituzione"
utilizzata dal legislatore sia nella L. n. 75 del 1958, sia nell'art. 600 bis
c.p., il Collegio rimettente ha evidenziato il netto divario tra le condotte
illecite descritte nelle fattispecie incriminatrici di cui all'art. 600 bis
c.p., commi 1 e 2, e la differenza notevole delle pene rispettivamente ad esse
correlate.
Ha
sollecitato, pertanto, l'intervento delle Sezioni Unite, ravvisando la
necessità di chiarire - a fronte della tradizionale nozione di "induzione
alla prostituzione" riferita a soggetti maggiorenni - se le esigenze di
tutela dei minori possano giustificare un approccio differenziato, tale da
condurre al punto di ritenere che il concetto giuridico di "prostituzione
minorile" sia integrato anche nella ipotesi che la relazione sessuale dietro
compenso sia limitata ad un unico adulto in assenza di intermediari e/o
sfruttatori e, successivamente, che l'attività di "induzione" nei
confronti del minorenne possa essere configurata anche nella sola condotta di
promessa o dazione di denaro o altra utilità, così da convincere la vittima a
compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.
4. Con
decreto in data 29 luglio 2013, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso
alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna pubblica udienza.
CONSIDERATO
IN DIRITTO
1. Il
primo motivo di ricorso è infondato.
Deve
ribadirsi, al riguardo, l'orientamento costante di questa Corte secondo il
quale la nozione legislativa di "atti sessuali" (rilevante ai fini
dell'applicazione dell'art. 609 bis c.p., ma anche dell'art. 600 bis c.p.)
ricomprende oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che,
risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo,
ancorchè fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale
di quest'ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la
libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale.
Punti
focali sono la concreta idoneità della condotta, esprimente l'impulso sessuale
dell'agente, a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto
passivo nella sua sfera sessuale, mentre nessun rilievo decisivo si connette
all'effettivo ottenimento del soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente
medesimo. Ne consegue che anche i palpeggiamenti, i toccamenti e gli
sfregamenti corporei, posti in essere nella prospettiva del reo di soddisfare
od eccitare il proprio istinto sessuale, in quanto coinvolgono la corporeità
della vittima, possono costituire una indebita intrusione nella sfera sessuale
di quella.
Secondo
la giurisprudenza di questa Corte, inoltre, "l'elemento caratterizzante
l'atto di prostituzione non è necessariamente costituito dal contatto fisico
tra i soggetti della prestazione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto
sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti
finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che
ha chiesto o che è destinatario della prestazione", non essendo stato "mai
messo in dubbio che l'attività di chi si prostituisce può consistere anche
nella esecuzione di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stesso in
presenza di chi ha chiesto la prestazione, pagando un compenso, al fine di
soddisfare la propria libidine, senza che intervenga alcun contatto fisico tra
le parti" (cfr. Sez. 3, n. 25464 del 22/04/2004, Mannone, Rv. 228692).
Nella
fattispecie in esame i giudici del merito si sono correttamente attenuti ai
principi di diritto dianzi enunciati.
Risulta
accertato, invero, che il S. abbordava e conduceva nella propria abitazione i
minori con il pretesto di fare svolgere ad essi semplici mansioni domestiche,
ma al vero scopo di poterli fare spogliare e non solo osservarli ma compiere su
di loro toccamenti, abbracci, massaggi ed altri contatti corporei anche diretti
a cosce e genitali, spingendosi a farsi masturbare dallo S.T. (vedi, al
riguardo, le dichiarazioni rispettivamente rese al dibattimento dai tre
ragazzi, valutate con ampie e logiche argomentazioni nella sentenza impugnata).
A
fronte della ricostruzione dei fatti come sopra effettuata, va rilevato che la
motivazione della Corte di merito: a) è "effettiva" e non meramente
apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante
ha posto a base della decisione adottata;
b) non
è "manifestamente illogica", in quanto risulta sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell'applicazione delle regole della logica; c) non è internamente
contraddittoria, apparendo al contrario esente da incongruenze tra le sue
diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa
contenute.
Il
ricorrente, del resto, non ha indicato in termini specifici alcun atto del
processo autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale da
disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determinare al suo
interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
2. Al
secondo motivo si connette la questione di diritto, per la quale il ricorso è
stato rimesso alle Sezioni Unite, rivolta a stabilire "se la condotta di
promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una
persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il
soggetto agente, integri gli estremi della fattispecie di cui al comma primo o
di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2".
3.
Appare opportuno ricordare, al riguardo, che - nella elencazione casistica di
fattispecie illecite adottata dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75 (nota come legge
Merlin) - è ricompresa, all'art. 3, comma 2, n. 5, la condotta di
"chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia
atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico,
sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità".
Nelle
previsioni della L. n. 75 del 1958, la condotta di "induzione alla
prostituzione minorile" derivava poi dall'interazione di tale norma
incriminatrice con il disposto del successivo art. 4, n. 2, che contemplava
come circostanza aggravante, comportante il raddoppio della pena, l'ipotesi che
i fatti previsti all'art. 3 e dunque anche la condotta induttiva, fossero
commessi "ai danni di una persona minore degli anni 21 o di persona in
stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata". La legge
Merlin estendeva dunque la tutela a tutti gli infraventunenni, con riferimento
all'adora vigente limite per la maggiore età.
L'assetto
normativo così consolidatosi in tema di prostituzione ha subito, dopo un
quarantennio, un radicale mutamento per quanto riguarda la tutela dei minori,
per effetto dell'entrata in vigore della L. 3 agosto 1998, n. 269, nota anche
come legge contro la pedofilia (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 185 del
10 agosto 1998).
La
promulgazione di tale legge è derivata dalla necessità per l'Italia di
conformarsi ai principi sanciti nella Convenzione di New York del 1989,
ratificata con la L. 27 maggio 1991, n. 176, e dalla dichiarazione finale della
Conferenza mondiale di Stoccolma adottata il 31 agosto del 1996: principi che
individuano "il fanciullo come soggetto da tutelare contro ogni forma di
sfruttamento e violenza sessuale, a salvaguardia del suo sviluppo fisico, psicologico,
spirituale, morale e sociale" (la L. n. 269 del 1998, art. 1,
presentandosi come una sorta di preambolo introduttivo e giustificativo, fa
espresso riferimento a tali documenti internazionali).
La
protezione del fanciullo è principalmente perseguita, dal legislatore del 1998,
attraverso il deciso rafforzamento dell'apparato normativo volto alla tutela
penale del minore, sia attraverso l'introduzione di nuove fattispecie
delittuose dopo l'art. 600 del codice penale - come appunto l'art. 600 bis
(prostituzione minorile) con relative circostanze aggravanti e attenuanti - sia
mediante la collocazione sistematica di tali norme nel Libro II del codice, in
particolare nella Sezione I del Capo III del Titolo XII, dedicata ai delitti
contro la personalità individuale, individuata (secondo quanto emerge dai
lavori preparatori) come la più congrua ad esprimere il reato che si compie nei
confronti dell'integrità del minore medesimo.
L'art.
600 bis c.p., nella formulazione del 1998, così recitava:
"Chiunque
induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto
ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da
sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento
milioni. - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti
sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in
cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire dieci milioni. La pena
è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli
anni diciotto".
Nella
legge del 1998, la nuova incriminazione era accompagnata dalla previsione di
circostanze aggravanti ed attenuanti (individuate nell'allora art. 600 sexies
c.p.): tra le altre, l'aumento da un terzo alla metà per i fatti previsti
dall'art. 600 bis, comma 1, (induzione, favoreggiamento, sfruttamento),
commessi in danno di minore degli anni quattordici e la previsione di aumento
di pena in caso di fatto commesso con violenza o minaccia.
Contestualmente
all'introduzione dell'art. 600 bis c.p., la L. n. 269 del 1998, art. 18, ha
decretato l'abrogazione della sopra ricordata circostanza aggravante di cui
all'art. 4, n. 2 della legge Merlin, nella parte in cui prevedeva
l'applicazione di una pena raddoppiata per le ipotesi in cui il fatto fosse
commesso a danno di persona minore degli anni ventuno.
L'ordinamento
registra dunque, con la L. n. 269 del 1998, la creazione di una fattispecie
autonoma di "induzione" (oltre che di favoreggiamento e sfruttamento)
"della prostituzione minorile", laddove in precedenza la minore età
della vittima rappresentava mera circostanza aggravante, nonché la creazione di
una nuova figura di reato, quella di atti sessuali retribuiti con minorenne,
del tutto inedita nel catalogo criminale.
Nei
lavori preparatori della L. n. 269 del 1998, viene espressamente affermato che
con la nuova norma si è voluto sottolineare che la personalità del minore,
oltre che l'abuso sessuale, subisce un ulteriore abuso: quello della
compravendita, donde, seppur nella differenziazione sia del reato che delle
pene, una non assoluta alterità tra chi sfrutta la prostituzione e il
"cliente", posto che entrambi entrano, sia pure con ruoli molto diversi,
nella circolante della domanda e dell'offerta, essendo i terminali di un
rapporto al cui centro sta l'offesa all'integrità del minore.
A
distanza di pochi anni dall'entrata in vigore della legge antipedofilia e dalla
introduzione dell'art. 600 bis c.p., è intervenuta una prima modifica di tale
norma, per effetto della L. 6 febbraio 2006, n. 38 (emanata per dare attuazione
a quanto stabilito dalla decisione-quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell'Unione
Europea, approvata il 22-12-2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento
sessuale dei bambini e la pornografia infantile) che ha innalzato la soglia di
età della vittima degli atti sessuali dietro retribuzione, pareggiandola a
quella del minore indotto o sfruttato ma operando una distinzione ai fini della
pena: ai sensi dell'art. 1 della legge citata, infatti, l'art. 600 bis c.p.,
commi 2 e 3, sono stati completamente riscritti, sicchè "Salvo che il
fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore
di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di
altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e
con la multa non inferiore a Euro 5.164 (comma 1), mentre nel caso in cui il
fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non
abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a
cinque anni" (comma 2).
Una
più radicale modifica è stata introdotta, per ultimo, dalla legge 1 ottobre
2012, n. 172 (entrata in vigore il 23 ottobre 2012) con la quale l'Italia ha
ratificato e dato esecuzione alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la
protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, stipulata a
Lanzarote il 25 ottobre 2007.
L'art.
4 di detta legge ha totalmente riscritto l'art. 600 bis c.p., e la nuova ed
allo stato vigente formulazione della norma prevede - al comma primo - la
punizione con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 15.000
a Euro 150.000 di chiunque:
1)
recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni
diciotto;
2)
favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una
persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae
profitto.
Ai
sensi del comma secondo, invece: "Salvo che il fatto costituisca più grave
reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i
quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra
utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da uno a sei anni e
con la multa da Euro 1.500 a Euro 6.000".
Sono
stati aggiunti poi, all'art. 602 ter, dopo il comma 2, ulteriori commi che
introducono circostanze aggravanti: tra di essi, ai fini che qui rilevano, il
comma (quinto) che prevede che nei casi previsti dall'art. 600 bis, commi 1 e
2, artt. 600 ter e 600 quinquies, nonché dagli artt. 600, 601 e 602, la pena è
aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore
degli anni sedici.
4.
Nella vicenda in esame, relativa a condotte delittuose la cui perpetrazione è
riferita temporalmente al periodo "dal 2005 al 2009", si applica
l'art. 600 bis c.p., nelle rispettive previsioni delle L. n. 269 del 1998, e L.
n. 38 del 2006, mentre non trova applicazione il nuovo e più gravoso assetto
normativo di cui alla L. n. 172 del 2012.
5. Con
riferimento alla normativa applicabile al caso concreto la formulazione
dell'art. 600 bis c.p., pone una netta differenziazione (resa più marcata per
effetto delle modificazioni introdotte dalla L. n. 172 del 2012) fra la più
grave ipotesi di cui al primo comma, fattispecie destinata a punire coloro che
avviano i minori all'attività di prostituzione, li trattengono in tale attività
e ne traggono vantaggio, e quella di cui al secondo comma, funzionale alla
punizione di coloro che si limitano a compiere atti sessuali a pagamento con
soggetti minorenni, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno
già dediti ad attività di mercimonio sessuale del proprio corpo.
In
relazione a tali diverse previsioni incriminatrici la Sezione remittente ha
dubitato della possibilità di applicazione, nell'interpretazione delle stesse,
dei principi che la giurisprudenza di legittimità ha enunciato con riferimento
alla disciplina dettata dalla L. n. 75 del 1958, per il reato di "induzione
alla prostituzione" di persona maggiorenne.
5.1.
Nel caso di prostituzione di persona maggiorenne è stato evidenziato in
dottrina come la legge Merlin (di fronte alla evoluzione storica di un
fenomeno, i cui aspetti più preoccupanti sono quelli legati all'impressionante
quota di attività direttamente gestita dalla criminalità organizzata) abbia
perseguito la finalità di riconsegnare all'alveo dell'attività del tutto
libera, non sanzionabile da parte dell'ordinamento, l'esercizio del meretricio
che sia frutto di una scelta non condizionata da forme di coazione o di
sfruttamento.
Anche
questa Corte ha recentemente osservato (Sez. 3, sent. n. 20384 del 29/01/2013,
Bolzanello, Rv. 255426), in proposito, che bisogna muovere "dal punto
fermo rappresentato dalla scelta del legislatore di considerare attività non
vietata, e dunque in sè lecita, quella che la persona liberamente svolge
scambiando la propria fisicità contro denaro", ed ha ricordato che
"le sanzioni penali fissate dalla L. 20 gennaio 1958, n. 75, debbono
essere applicate a coloro che condizionano la libertà di determinazione della
persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità
di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all'attività
di prostituzione eccedendo i limiti dell'ordinaria prestazione di
servizi", sottolineando la necessità di non operare interpretazioni tali
"da reintrodurre surrettiziamente presupposti di illiceità in sè della
prostituzione che vengono formalmente ed espressamente negati e che, invece,
potrebbero finire per qualificare come illegali condotte e prestazioni di
servizi alla prostituta che non risulterebbero penalmente rilevanti se
destinati ad altre attività".
5.2.
Quanto vale per gli adulti muta tuttavia completamente nel caso dei minori,
essendo la dottrina e la giurisprudenza concordi sull'impossibilità di
considerare "libera" la prostituzione di soggetti minorenni.
Per il
minore, infatti, la prostituzione rappresenta raramente il frutto di una scelta
spontanea, essendo prevalentemente determinata da pressioni (o da vere e
proprie coercizioni) di fronte alle quali egli non dispone di alcuna valida
alternativa, sicchè l'atto sessuale compiuto dal minore prostituito non può
inquadrarsi in un'area di libertà, area la cui sostanziale inesistenza il
"cliente" non può dunque nè ignorare, nè fingere di non conoscere.
Quand'anche,
poi, si dovesse riscontrare l'assenza di interventi esterni di condizionamento
di tale spazio di libertà, è comunque ragionevole che l'ordinamento vieti
l'acquisto di prestazione sessuali presso un soggetto che presuntivamente non
ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una
valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute della mercificazione
del proprio corpo sul suo sviluppo psico-fisico; ne consegue che,
indipendentemente dal suo atteggiamento psicologico e dalla sua condotta
(quand'anche connivente o adescatrice), il minore è reputato sempre e comunque
una vittima.
Il
carattere "non libero" della prostituzione minorile - ritenuta dal
legislatore come condotta che comporta l'annientamento della personalità
individuale del minore - spiega, sul piano teorico, la punibilità della
condotta del "cliente", del tutto immune da censure sul piano penale
se invece rapportata alla prostituzione di soggetto adulto.
6.
L'induzione alla prostituzione di maggiorenne - in mancanza di una specifica
definizione legislativa ma in coerenza con il primo criterio ermeneutico
indicato dall'art. 12 delle "Disposizione sulla legge in generale"
rispetto al significato che del termine è universalmente accettato nella lingua
italiana - è stata tradizionalmente ritenuta come quell'attività,
coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di
determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione, svolta nei
confronti di un soggetto, sia facendo sorgere in quello l'idea di prostituirsi,
sia aggiungendo ulteriori motivi o stimoli per dedicarsi alla prostituzione o a
riprendere tale attività se interrotta ed a persistervi se volesse abbandonarla
(vedi già Sez. 3: n. 1833 del 20/12/1968, Pagani, Rv. 111772; n. 2298 del
04/12/1978, Madaschi, Rv.
141310;
n. 8869 del 12/03/1984, Furnari, Rv. 166148). L'opera di convincimento può
consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere, ma deve realizzarsi in
una attività positiva, idonea e concreta, non essendo sufficiente la semplice
inerzia o tolleranza e neppure la semplice proposta e deve avere avuto una
efficacia causale e rafforzativa, sicchè senza il fatto del colpevole il
soggetto non si sarebbe dato alla prostituzione.
La
mera proposta di partecipare ad incontri sessuali a pagamento non costituisce
condotta induttiva se non accompagnata da condotte ulteriori consistenti in
pressioni fisiche o psicologiche che spingono la persona a prostituirsi
superando le resistenze di ordine morale, o di altra natura, che la trattengono
dall'attività di prostituzione (così Sez. 2: n. 7424 del 13/05/1987, Cito, Rv.
176185;
n. 36156 del 03/06/2004, Nicolo, Rv. 229389; n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni,
Rv. 234787; n. 26216 del 19/05/2010, A.F., Rv.
247696).
La
dottrina assolutamente prevalente esclude la configurazione della condotta di
induzione nell'ipotesi del "cliente" stesso della prostituta
maggiorenne, che, inteso quale mero fruitore delle prestazioni sessuali, viene
considerato del tutto estraneo a tale ipotesi criminosa.
Anche
in giurisprudenza non paiono registrarsi orientamenti, nell'ambito della
prostituzione di maggiorenne, che qualifichino come illecita - sub specie
dell'induzione - la condotta del "cliente";
condotta
piuttosto inquadrata in alcune pronunce di merito nella diversa ipotesi del
favoreggiamento, ma con esiti che essenzialmente non hanno resistito al vaglio
di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 16536 del 14/02/2001, Mazzanti, Rv. 218870).
Nè
un'interpretazione di segno contrario sembra possa riconnettersi ai precedenti
menzionati nella sentenza n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni.
In
particolare, la sentenza Traiani (Sez. 3, n. 6191 del 20/04/1983, Rv. 159699,
secondo cui sussiste l'attività di prostituzione anche nel caso di rapporto con
una sola persona) parrebbe non riguardare il "fatto del cliente",
bensì il caso in cui la condotta induttiva era consistita nell'invito rivolto
ad una donna ad incontrarsi effettivamente con un solo individuo di sesso
maschile, ma diverso dal soggetto induttore.
Anche
la lettura della sentenza Rizzeri (Sez. 1, n. 7947 del 13/03/1986, Rv. 173482),
relativa al caso di donna indotta a concedersi in favore di una sola persona
per avere in cambio sostanze stupefacenti, non chiarisce se vi sia stata
coincidenza o alterità fra "induttore" e "fruitore" delle
prestazioni sessuali della donna.
7.
Diversamente, nell'ipotesi di vittima minorenne, a partire dalla sentenza
Cantoni n. 33470 del 2006 ("capofila" dell'orientamento adottato da
questa Corte in materia di induzione alla prostituzione minorile "per
fatto del cliente"), la Sezione Terza ha affermato che l'adulto che paga
il minore perchè compia con lui atti sessuali contestualmente lo induce alla
prostituzione e perciò deve rispondere ai sensi dell'art. 600 bis c.p., comma
1.
Nella
sentenza Cantoni (e nelle sentenze n. 43820 del 26/11/2007, C.M., non
massimata; n. 26216 del 19/05/2010, A.F., Rv. 247696; n. 16759 del 07/02/2013,
Gerbino, Rv. 255453) si è tuttavia evidenziata la necessità che la dazione del
corrispettivo sia accompagnata da un'opera di convincimento finalizzata a
vincere la resistenza del minore.
La sentenza
n. 18315 del 14/04/2010, R.S., Rv. 247163 - in una fattispecie in cui
all'indagato veniva contestato di avere indotto alla prostituzione un ragazzino
che non aveva ancora compiuto dieci anni, convincendolo ad avere con lui
rapporti sessuali dietro remunerazione - ha affermato, invece, che la semplice
dazione di denaro doveva considerarsi sufficiente a persuadere il minore a
consentire agli atti sessuali sia pure esclusivamente con il soggetto agente.
Con la
sentenza n. 4235 del 11/01/2011, F., Rv. 249316, nella condotta di induzione è
stata ricompresa anche una ripetuta dazione o offerta di danaro o altra utilità
che, di per sè sola considerata, ossia interamente affrancata dalla necessità
di ulteriori requisiti di condotta "suggestiva" (verbale o di altra
natura), abbia spinto il minore al meretricio.
8. A
fronte del quadro interpretativo dianzi delineato, rileva il Collegio che anche
la condotta di induzione alla prostituzione minorile (sanzionata dall'art. 600
bis c.p., comma 1), per essere penalmente rilevante, deve essere sganciata
dall'occasione nella quale l'agente è parte del rapporto sessuale e
oggettivamente rivolta ad operare sulla prostituzione esercitata nei confronti
di terzi.
L'induzione
del minore alla prostituzione prescinde dall'effettuazione diretta dell'atto
sessuale con l'induttore e può riguardare soltanto chi determina, persuade o
convince il soggetto passivo a concedere il proprio corpo per pratiche sessuali
da tenere non esclusivamente con il persuasore ma con terzi, che possono
consistere anche in una sola persona, a condizione però che questa non si identifichi
nell'induttore.
Il
principio secondo il quale sussiste l'attività di prostituzione di soggetto
adulto anche nel caso di rapporto con una sola persona è affermato da Sez. 3,
n. 6191 del 20/04/1983, Traiani, Rv. 159699;
Sez.
1, n. 7947 del 13/03/1986, Rizzeri, Rv. 173482; Sez. 3, n. 7933 del 04/05/1984,
Sanfilippo, Rv. 165879. In tema di prostituzione minorile lo stesso principio è
enunciato da Sez. 3, n. 7368 del 18/01/2012, L, Rv. 252133.
Nella
nostra tradizione giuridica il tipo normativo della "induzione alla
prostituzione" si pone - infatti - dal lato dell'offerta del sesso
mercenario e non della domanda, sicchè la basilare distinzione fra induttore e
cliente deve muoversi fra attività rientranti nell'ambito dell'offerta di
prostituzione e attività rientranti nell'ambito della domanda.
Dagli
stessi lavori preparatori della L. n. 269 del 1998 (relazione alla proposta di
legge dell'on. Serafini) emerge chiaramente che solo con l'art. 600 bis c.p.,
comma 2, "si introduce ... una figura nuova nel nostro codice: la figura
del cliente"; ne consegue che l'unica fattispecie utilizzabile ai fini
dell'incriminazione del cliente è quella prevista dall'art. 600 bis c.p., comma
2.
Tale
opzione interpretativa non compromette le esigenze di maggior tutela del minore
rispetto all'adulto affermate anche a livello sovranazionale, poichè la valenza
persuasiva strutturalmente insita nel pagamento del minore per ottenere una
prestazione sessuale diretta è già assorbita dal disvalore tipico del fatto
descritto nell'art. 600 bis c.p., comma 2.
L'induzione
di cui allo stesso art. 600 bis, comma 1, è stata distinta dal legislatore
dalla mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento in quanto
equiparata a condotte di indubbia maggiore offensività (reclutamento, sfruttamento,
favoreggiamento, organizzazione e gestione della prostituzione minorile) che
ben giustificano - a fronte della collocazione sistematica delle due
fattispecie all'interno del medesimo articolo - il diversissimo quadro edittale
di pena.
Tenuto
conto che la fattispecie di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, presuppone la
necessaria correlazione causale fra la dazione o la promessa di danaro o di
altra utilità e la prestazione sessuale del minore, deve essere altresì
evidenziato che la figura polivalente ed ubiquitaria del cliente mero fruitore
del sesso a pagamento che, come tale, contestualmente indurrebbe il minore alla
prostituzione comporterebbe, di fatto, l'abrogazione implicita dello stesso
art. 600 bis, comma 2, (che, come osservato da autorevole dottrina, sarebbe
"nato già morto").
Non
possono ritenersi decisivi, in senso contrario, argomenti basati sulla
collocazione del reato di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, sotto la rubrica
"Prostituzione minorile": non c'è dubbio infatti che la condotta
descritta dal comma 2, presenta pur sempre un collegamento con il fenomeno
della prostituzione minorile in quanto in molteplici casi essa può essere
destinata ad inserirsi in un contesto di sfruttamento sistematico del minore;
tuttavia la ratio della norma in esame è quella di sanzionare autonomamente
anche il singolo ed estemporaneo rapporto a pagamento per la sua attitudine ad
alimentare, sia pure indirettamente, il circuito della prostituzione (lo
stimolo del compenso, infatti, potrebbe spingere il minore a proseguire
l'attività e ad estendere la sfera dei clienti, con l'inevitabile pericolo di
determinare, nel tempo, un suo stabile inserimento nel mercato).
Nell'ambito
dell'induzione alla prostituzione di soggetto maggiorenne il legislatore, se avesse
ritenuto di poter punire il cliente, avrebbe fatto emergere la contraddizione
di un ordinamento che da una parte considera lecito il meretricio in quanto
tale, cioè l'offerta, e dall'altra sanziona penalmente la richiesta della
prestazione, cioè la domanda.
L'incriminazione
del cliente in ambito minorile - sancita con l'art. 600 bis c.p., comma 2, -
costituisce, invece, un'evidente eccezione rispetto a tale paradigma,
perfettamente giustificata dal diverso oggetto giuridico e dalla differente
finalità di tutela, ma che come tale, ossia proprio in quanto fattispecie
autonoma di incriminazione della dazione/offerta di denaro da parte del cliente
per avere rapporti sessuali con il minore, segna la chiara conferma, a
contrario, della impossibilità di ravvisare una attività induttiva nella sola
condotta di chi domanda ad un minore prestazioni sessuali come
"consumatore" dandone o promettendone il pagamento; condotta che
invece deve necessariamente rientrare, pena appunto una tacita abrogazione, nella
fattispecie di cui al comma 2, altrimenti applicabile soltanto nella pur
esistente ma certamente ridotta casistica di dazione/offerta rivolta verso
minore già dedito alla prostituzione, in aperta contraddizione però con il
consolidato approdo giurisprudenziale che ha ripudiato fermamente, almeno negli
ultimi anni, ogni vaga idea di minore "corrotto".
9.
Ritiene in conclusione la Corte di dovere affermare il seguente principio di
diritto: "La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità,
attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti
sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della
fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell'art. 600-bis del
codice penale".
10.
Per tutte le considerazioni dianzi svolte, i fatti per i quali nel presente
giudizio è stata riconosciuta la responsabilità del S. devono essere
qualificati come violazione dell'art. 600 bis c.p., comma 2, e la sentenza
impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Brescia per la determinazione della pena da correlarsi a tale
fattispecie incriminatrice.
Poichè
le condotte illecite ascritte al ricorrente sono state contestate come commesse
in Brescia "dal 2005 al 2009", il giudice del rinvio dovrà altresì
procedere ad una specifica collocazione temporale delle stesse, al fine di
riscontrare l'eventuale prescrizione di alcuni segmenti di esse, tenendo
comunque conto che i termini di prescrizione dovranno essere computati fino
alla data di pronuncia della presente sentenza.
11. Va
rilevato, infine, che correttamente i giudici del merito hanno denegato il
riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
Le
attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le
possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in
considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente
incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità di
delinquere dell'imputato.
Il
riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno
positivo.
Secondo
la giurisprudenza di questa Corte, la concessione o il diniego delle attenuanti
generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui
esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli
limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso
giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del
reato ed alla personalità del reo.
Anche
il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive
dell'appellante - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli
elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione
globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di
quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego,
rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza
di stretta contestazione.
Nella
fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere
discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge - in carenza di congrui
elementi di segno positivo - con argomentazioni razionali ha dato rilevanza
decisiva alla gravità dei fatti, alla "pervicacia del prevenuto ed al
numero delle parti lese anche in rapporto all'arco temporale interessato",
deducendo logicamente prevalenti significazioni negative della personalità
dell'imputato dai precedenti penali anche specifici dello stesso, il quale
"non aveva dato segno di un minimo pentimento, neppure trovandosi di
fronte alle vittime".
P.Q.M.
Qualificati
i fatti come violazione dell'art. 600 bis c.p., comma 2, annulla la sentenza
impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per la
determinazione della pena.
Rigetta
il ricorso nel resto.
Così
deciso in Roma, il 19 dicembre 2013.
Depositato
in Cancelleria il 14 aprile 2014
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