Con la sentenza n. 3806/2014 la
Suprema Corte ha fissato dei precisi paletti in relazione alla corretta
definizione di servitù per destinazione del padre di famiglia sancendo che ai
fini della configurazione di tale modalità di acquisto del diritto reale
occorre, in primo luogo, la sua apparenza e cioè l’esistenza di segni visibili
rivelatori dell’esistenza della servitù stessa.
L'art. 1062 c.c., stabilisce "la destinazione del padre di famiglia ha
luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi,
attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che
questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.
Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati".
Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati".
Dal dettato normativo si evince che la
costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia presuppone,
quindi, che l’originario unico proprietario abbia posto in essere tra due fondi
o due parti dello stesso fondo a lui appartenenti una situazione soggettiva di
subordinazione o di servizio, corrispondente al contenuto di una servitù,
derivando da ciò che nel momento in cui i due fondi o le due parti del fondo
vengono divise, ossia vengono ad appartenere a diversi proprietari, tale
situazione soggettiva si pone di per sé come fatto costitutivo della servitù
avente contenuto corrispondente all’utilità già garantita a uno dei due fondi o
delle due parti dello stesso fondo.
Presupposti necessari alla
costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia sono:
- la precedente appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario;
- la corrispondente situazione di possesso di entrambi i fondi in capo al proprietario, che deve esistere al momento in cui si crea la situazione di asservimento;
- la sussistenza di opere visibili corrispondenti al contenuto della servitù apparente;
- la successiva alienazione dei fondi, con cessazione dell'appartenenza al medesimo proprietario.
La costituzione della servitù per
destinazione del padre di famiglia non si ricollega, quindi, ad una specifica
manifestazione di volontà diretta al sorgere della servitù, bensì ad un
comportamento costitutivo od omissivo dell’originario proprietario da cui sia
derivata una situazione di fatto corrispondente al contenuto della servitù
oltre all'assenza di una espressa volontà contraria da parte dell'originario proprietario.
Infatti, la servitù non viene ad
esistenza, pur in presenza degli elementi su indicati, se risulta espressamente
una volontà contraria da parte del proprietario dei fondi al momento della loro
separazione, volontà che può essere contenuta in una specifica clausola
negoziale, con espressamente si esclude il
sorgere della servitù, ovvero può essere desunta indirettamente da altra
clausola, il cui contenuto risulti incompatibile con la volontà di lasciare
immutata la situazione di fatto che verrebbe a determinare la nascita della
servitù.
L'esistenza della servitù per destinazione del padre di
famiglia necessita, quindi, come ribadito dalla Suprema Corte di opere visibili e permanenti e tale
accertamento va effettuato con riferimento alla stato dei luoghi al momento
della separazione della proprietà.
*****
SUPREMA
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II
civile
sentenza 18
febbraio 2014, n. 3806
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA
CIVILE
Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto
Michele - Presidente -
Dott. NUZZO Laurenza
- rel. Consigliere -
Dott. MAZZACANE
Vincenzo - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO
Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto
- Consigliere -
ha pronunciato la
seguente:
sentenza
sul ricorso
29425/2007 proposto da:
R.C. (OMISSIS), R.A.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio
dell'avvocato CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato PIZZUTI
Pasquale;
- ricorrenti -
contro
R.E. (OMISSIS),
elettivamente domiciliata in ROMA, V. BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio
dell'avvocato RINALDI GALLICANI SIMONA, rappresentata e difesa dall'avvocato
MOBILIO Gianfranco;
- controricorrente -
avverso la sentenza
n. 524/2007 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 17/09/2007;
udita la relazione
della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott.
LAURENZA NUZZO;
udito il P.M., in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
Svolgimento
del processo
Con atto di
citazione 20.10.2001 R.E. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Nocera
Inferiore, R.A. chiedendone la condanna al ripristino di un canale per
l'irrigazione di un terreno di sua proprietà, sito nel Comune di (OMISSIS),
contiguo a quello del convenuto, secondo quanto convenuto con la scrittura
privata 24.3.2001 che prevedeva il ripristino del canale entro il termine di 60
giorni.
Costituitosi in
giudizio R.A. eccepiva che detta scrittura privata non era stata sottoscritta
anche dall'altra comproprietaria del terreno, R.C. che, a sua volta, chiamata
in causa, assumeva la inopponibilità, nei propri confronti, della scrittura
24.3.2001, chiedendo, in via riconvenzionale, declaratoria d'inesistenza della
servitù oggetto di causa.
A seguito delle
predette eccezioni, l'attrice modificava la domanda ed, in luogo
dell'adempimento, chiedeva la risoluzione della scrittura per colpa di R.A..
Con sentenza 29.4.2003 il Tribunale dichiarava la risoluzione della scrittura
privata 24.3.2001 per colpa di R.A. e lo condannava al risarcimento dei danni,
da liquidare in separata sede, in favore di R.E.;
rigettava la domanda
riconvenzionale di negatoria servitutis proposta da R.C., per l'intervenuto
riconoscimento della servitù da parte del marito e condannava i convenuti al
pagamento delle spese processuali.
La responsabilità di
R.A., ad avviso del primo giudice, derivava dall'aver taciuto alla controparte
la comproprietà del terreno da parte della moglie, R.C.. Avverso tale decisione
proponeva appello principale R.C. ed appello incidentale R.A.; resisteva R.E..
Con sentenza
depositata il 17.9.2007 la Corte d'Appello di Salerno rigettava entrambi gli
appelli e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
Osservava la Corte di merito che la servitù doveva ritenersi costituita, ex
art. 1062 c.c.e, per destinazione del padre di famiglia, risultando che i beni
appartenevano originariamente alla comune genitrice, D.P. G. che li aveva poi
attribuiti, con testamento pubblicato il 6.3.1960, a tutti i figli mediante
ripartizione in di zonette contigue "di tal che il canale di irrigazione
che parte dal pozzo e corre lungo dette zonette era espressione di servitù
poste a carico ed a favore per destinazione del padre di famiglia, in assenza
di disposizioni specifiche"; ne conseguiva che, essendo R.E. titolare della
servitù, doveva rigettarsi il gravame incidentale di R.A., stante la
legittimità dell'obbligo da questi assunto, quale comproprietario del fondo
servente e non rilevando la mancata partecipazione dell'altro comproprietario,
trattandosi di "rapporto obbligatorio e non di atto costitutivo di diritto
reale", rimasto inadempiuto.
Per la cassazione di
tale sentenza propongono ricorso R. C. e R.A., formulando due motivi con i
relativi quesiti ex art. 366 bis c.p.c., illustrati da memoria.
Resiste con controricorso
e successiva memoria R.E..
Motivi della
decisione
I ricorrenti
deducono:
1) violazione e
falsa applicazione degli artt. 949-1062 e 2697 c.c., nonchè contraddittoria ed
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per avere la
Corte di merito erroneamente desunto dal testamento pubblicato il 6.3.60 la
prova della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia
sulla base della semplice appartenenza del fondo gravato dalla servitù alla
comune dante causa, senza che fosse stato accertata la sussistenza, all'epoca
della divisione del fondo in questione, di opere permanenti rivelatrici
dell'esistenza della servitù;
2) (subordinatamente
al mancato accoglimento del primo motivo), nullità della sentenza in relazione
agli artt. 1418, 1453, 1069 e 1090 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo
la sentenza impugnata considerato che la scrittura del 24.3.01 integrava un
contratto unilaterale con una sola prestazione a carico del proprietario del
fondo servente con la conseguenza che la relativa declaratoria di risoluzione,
costituiva violazione dell'art. 1453 c.c., potendo la domanda di risoluzione
per inadempimento essere proposta solo per i contratti con prestazioni
corrispettive;
peraltro, il giudice
di appello non aveva tenuto conto che, ai sensi dell'art. 1069 c.c., spetta al
titolare del fondo dominante eseguire, a propria cura e spese, le opere per
conservare la servitù con la conseguenza che l'obbligo assunto da R.A., in
qualità di proprietario del fondo servente, era nullo per mancanza di causa.
Il ricorso è
infondato.
In ordine al primo motivo
va ribadito il principio di diritto, affermato nella sentenza impugnata,
secondo cui per l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia
occorre "la sua apparenza, cioè l'esistenza di segni visibili rivelatori
dell'esistenza della servitù (pag. 6). L'esistenza di opere visibili e
permanenti è stata, peraltro, desunta dalla planimetria, dal contenuto della
scrittura privata del 24.3.1991 in cui si riconosceva la preesistenza del
canale di irrigazione e dal fatto che la comune genitrice, D.P.G., con
testamento pubblicato il 6.3.1960, aveva assegnato zonette contigue a tutti i
figli e site lungo detto canale sicchè lo stato dei luoghi manifestava la
sussistenza di "servitù poste a carico ed a favore per destinazione del
padre di famiglia" e, pertanto, la scrittura privata era valida anche
senza la partecipazione dell'altra comproprietaria ( R. C.).
Per quanto riguarda
il secondo motivo, premesso che la questione della non risolubilità per
inadempimento di un contratto con prestazioni a carico di una sola parte
risulta nuova, a prescindere del problema della sua fondatezza, si osserva che
fuori luogo viene invocato l'art. 1069 cod. civ., comma 2, dal momento che,
nella specie, non si discute di opere necessarie alla conservazione della servitù,
ma della assunzione di un'obbligazione personale da parte di R.A..
Alla stregua di
quanto osservato il ricorso va rigettato.
Consegue la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma,
il 19 dicembre 2013.
Depositato in
Cancelleria il 18 febbraio 2014
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