Con
le due decisioni che seguono la Corte di Cassazione è intervenuta sul problema
delle immissioni rumorose e sulla risarcibilità, nella specie, del danno
esistenziale e del danno alla salute che queste possono arrecare.
Con
la sentenza numero 10173/2015 (qui sotto integralmente riportata) la seconda
Sezione ha stabilito che “anche un semplice condizionatore può produrre rumori
che superano la normale tollerabilità (V. art. 844 c.c.), specialmente quando
resta in funzione anche nelle ore notturne”.
La
Suprema Corte ha altresì statuito che se si intende richiedere anche il
risarcimento del danno alla salute è necessario produrre la necessaria
documentazione medica che può essere idoneamente sostituita con una consulenza
tecnica di parte da cui risulti una lesione di carattere psicofisico
riconducibile ai rumori.
Infatti,
chi subisce le immissioni rumorose che superano la normale tollerabilità può
ottenere sia il risarcimento del danno esistenziale sia il risarcimento del
danno biologico, ma quest'ultimo deve essere documentato.
Nel
caso preso in esame dalla richiamata sentenza due condomini, esasperati per il
propagarsi nel loro appartamento di rumori provenienti da un impianto di
climatizzazione installato dai vicini, avevano chiesto giudizialmente il
risarcimento dei danni subiti e la condanna dei proprietari di quest’ultimo ad
eseguire le opere necessarie per ridurre la rumorosità dell’impianto.
In
primo grado il giudice di pace aveva accolto in parte la domanda condannando i
proprietari del climatizzatore al risarcimento del danno esistenziale liquidato
nella somma di € 1100 per ciascuna parte e aveva condannato i proprietari
dell'impianto ad eseguire le opere necessarie per ridurre le immissioni.
In
appello i danneggiati avevano lamentato che il primo giudice non aveva
riconosciuto loro il risarcimento del danno alla salute e che non era stata
ammessa la consulenza tecnica d'ufficio da loro richiesta per dimostrare la
lesione di carattere psico-fisico.
Orbene,
secondo la Cassazione però, per poter ammettere una consulenza tecnica
d'ufficio è necessario che vi sia almeno un principio di prova del danno che si
intende dimostrare (e nella specie sarebbe bastata della documentazione medica o
una consulenza di parte). In mancanza di tale documentazione, una CTU
avrebbe assunto un carattere meramente esplorativo e come tale inammissibile.
Con
la sentenza numero 17013/2015, depositata in data 20 agosto 2015 (testo
integrale al link sotto riportato), la Suprema Corte è ritornata sul tema delle
immissioni rumorose, stavolta prodotte da un gregge di pecore, stabilendo che i
rumori degli animali, che con i loro belati e campanacci disturbavano il
risposo e la quiete dei proprietari dell’edificio confinante con il luogo del
pascolo, sono qualificabili come immissioni superanti la normale tollerabilità
ai sensi dell’art. 844 c.c., e quindi in astratto idonee a provocare un danno
ai soggetti che vi sono quotidianamente esposti ma che il danno non patrimoniale deve essere debitamente provato.
Nel
caso di specie la Corte, pur avendo ordinato che gli animali venissero
“confinati” in recinti lontani almeno 100 metri dall’abitazione dei ricorrenti,
proprio per impedire il ripetersi del fenomeno immissivo, non ha però accolto
le richieste di risarcimento del danno esistenziale, preteso dai ricorrenti sulla base della lesione dei loro diritti
costituzionali, fra i quali quello alla libertà di spostamento, al tranquillo godimento del
domicilio, alla serena fruizione del tempo libero, tutti compromessi dai rumori
prodotti dagli animali.
Gli ermellini hanno ritenuto che i ricorrenti non avessero assolto l’onere della prova su di loro gravante in relazione al del danno esistenziale asseritamente
subito, né in termini di an, né
in termini di quantum debeatur.
La
Corte ha così ulteriormente precisato che per ottenere il risarcimento del
danno non patrimoniale (in specie qualificato come danno esistenziale), occorre
la prova di una lesione concreta e tale da renderne costituzionalmente
meritevole il ristoro dello stesso, senza rischiare di compromettere
l’equilibrio tra il dovere di protezione e solidarietà verso la vittima e il
generale dovere di tolleranza nei rapporti sociali.
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