martedì 18 agosto 2015

Servitù per destinazione del padre di famiglia. La Cassazione fa chiarezza sugli elementi costitutivi. Cassazione Civile, sez. II, sentenza 18/02/2014 n° 3806


Con la sentenza n. 3806/2014 la Suprema Corte ha fissato dei precisi paletti in relazione alla corretta definizione di servitù per destinazione del padre di famiglia sancendo che ai fini della configurazione di tale modalità di acquisto del diritto reale occorre, in primo luogo, la sua apparenza e cioè l’esistenza di segni visibili rivelatori dell’esistenza della servitù stessa. 


L'art. 1062 c.c., stabilisce "la destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.
Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati".
Dal dettato normativo si evince che la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia presuppone, quindi, che l’originario unico proprietario abbia posto in essere tra due fondi o due parti dello stesso fondo a lui appartenenti una situazione soggettiva di subordinazione o di servizio, corrispondente al contenuto di una servitù, derivando da ciò che nel momento in cui i due fondi o le due parti del fondo vengono divise, ossia vengono ad appartenere a diversi proprietari, tale situazione soggettiva si pone di per sé come fatto costitutivo della servitù avente contenuto corrispondente all’utilità già garantita a uno dei due fondi o delle due parti dello stesso fondo.
Presupposti necessari alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia sono:

  • la precedente appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario;
  • la corrispondente situazione di possesso di entrambi i fondi in capo al proprietario, che deve esistere al momento in cui si crea la situazione di asservimento;
  • la sussistenza di opere visibili corrispondenti al contenuto della servitù apparente;
  • la successiva alienazione dei fondi, con cessazione dell'appartenenza al medesimo proprietario. 
La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia non si ricollega, quindi, ad una specifica manifestazione di volontà diretta al sorgere della servitù, bensì ad un comportamento costitutivo od omissivo dell’originario proprietario da cui sia derivata una situazione di fatto corrispondente al contenuto della servitù oltre all'assenza di una espressa volontà contraria da parte dell'originario proprietario.
Infatti, la servitù non viene ad esistenza, pur in presenza degli elementi su indicati, se risulta espressamente una volontà contraria da parte del proprietario dei fondi al momento della loro separazione, volontà che può essere contenuta in una specifica clausola negoziale, con  espressamente si esclude il sorgere della servitù, ovvero può essere desunta indirettamente da altra clausola, il cui contenuto risulti incompatibile con la volontà di lasciare immutata la situazione di fatto che verrebbe a determinare la nascita della servitù.
L'esistenza della  servitù per destinazione del padre di famiglia necessita, quindi, come ribadito dalla Suprema  Corte di opere visibili e permanenti e tale accertamento va effettuato con riferimento alla stato dei luoghi al momento della separazione della proprietà. 

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civile
sentenza 18 febbraio 2014, n. 3806
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente -
Dott. NUZZO Laurenza - rel. Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 29425/2007 proposto da:
R.C. (OMISSIS), R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio dell'avvocato CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato PIZZUTI Pasquale;
- ricorrenti -
contro
R.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, V. BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio dell'avvocato RINALDI GALLICANI SIMONA, rappresentata e difesa dall'avvocato MOBILIO Gianfranco;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 524/2007 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 17/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione 20.10.2001 R.E. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, R.A. chiedendone la condanna al ripristino di un canale per l'irrigazione di un terreno di sua proprietà, sito nel Comune di (OMISSIS), contiguo a quello del convenuto, secondo quanto convenuto con la scrittura privata 24.3.2001 che prevedeva il ripristino del canale entro il termine di 60 giorni.
Costituitosi in giudizio R.A. eccepiva che detta scrittura privata non era stata sottoscritta anche dall'altra comproprietaria del terreno, R.C. che, a sua volta, chiamata in causa, assumeva la inopponibilità, nei propri confronti, della scrittura 24.3.2001, chiedendo, in via riconvenzionale, declaratoria d'inesistenza della servitù oggetto di causa.
A seguito delle predette eccezioni, l'attrice modificava la domanda ed, in luogo dell'adempimento, chiedeva la risoluzione della scrittura per colpa di R.A.. Con sentenza 29.4.2003 il Tribunale dichiarava la risoluzione della scrittura privata 24.3.2001 per colpa di R.A. e lo condannava al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore di R.E.;
rigettava la domanda riconvenzionale di negatoria servitutis proposta da R.C., per l'intervenuto riconoscimento della servitù da parte del marito e condannava i convenuti al pagamento delle spese processuali.
La responsabilità di R.A., ad avviso del primo giudice, derivava dall'aver taciuto alla controparte la comproprietà del terreno da parte della moglie, R.C.. Avverso tale decisione proponeva appello principale R.C. ed appello incidentale R.A.; resisteva R.E..
Con sentenza depositata il 17.9.2007 la Corte d'Appello di Salerno rigettava entrambi gli appelli e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del grado. Osservava la Corte di merito che la servitù doveva ritenersi costituita, ex art. 1062 c.c.e, per destinazione del padre di famiglia, risultando che i beni appartenevano originariamente alla comune genitrice, D.P. G. che li aveva poi attribuiti, con testamento pubblicato il 6.3.1960, a tutti i figli mediante ripartizione in di zonette contigue "di tal che il canale di irrigazione che parte dal pozzo e corre lungo dette zonette era espressione di servitù poste a carico ed a favore per destinazione del padre di famiglia, in assenza di disposizioni specifiche"; ne conseguiva che, essendo R.E. titolare della servitù, doveva rigettarsi il gravame incidentale di R.A., stante la legittimità dell'obbligo da questi assunto, quale comproprietario del fondo servente e non rilevando la mancata partecipazione dell'altro comproprietario, trattandosi di "rapporto obbligatorio e non di atto costitutivo di diritto reale", rimasto inadempiuto.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso R. C. e R.A., formulando due motivi con i relativi quesiti ex art. 366 bis c.p.c., illustrati da memoria.
Resiste con controricorso e successiva memoria R.E..
Motivi della decisione
I ricorrenti deducono:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 949-1062 e 2697 c.c., nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte di merito erroneamente desunto dal testamento pubblicato il 6.3.60 la prova della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia sulla base della semplice appartenenza del fondo gravato dalla servitù alla comune dante causa, senza che fosse stato accertata la sussistenza, all'epoca della divisione del fondo in questione, di opere permanenti rivelatrici dell'esistenza della servitù;
2) (subordinatamente al mancato accoglimento del primo motivo), nullità della sentenza in relazione agli artt. 1418, 1453, 1069 e 1090 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo la sentenza impugnata considerato che la scrittura del 24.3.01 integrava un contratto unilaterale con una sola prestazione a carico del proprietario del fondo servente con la conseguenza che la relativa declaratoria di risoluzione, costituiva violazione dell'art. 1453 c.c., potendo la domanda di risoluzione per inadempimento essere proposta solo per i contratti con prestazioni corrispettive;
peraltro, il giudice di appello non aveva tenuto conto che, ai sensi dell'art. 1069 c.c., spetta al titolare del fondo dominante eseguire, a propria cura e spese, le opere per conservare la servitù con la conseguenza che l'obbligo assunto da R.A., in qualità di proprietario del fondo servente, era nullo per mancanza di causa.
Il ricorso è infondato.
In ordine al primo motivo va ribadito il principio di diritto, affermato nella sentenza impugnata, secondo cui per l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia occorre "la sua apparenza, cioè l'esistenza di segni visibili rivelatori dell'esistenza della servitù (pag. 6). L'esistenza di opere visibili e permanenti è stata, peraltro, desunta dalla planimetria, dal contenuto della scrittura privata del 24.3.1991 in cui si riconosceva la preesistenza del canale di irrigazione e dal fatto che la comune genitrice, D.P.G., con testamento pubblicato il 6.3.1960, aveva assegnato zonette contigue a tutti i figli e site lungo detto canale sicchè lo stato dei luoghi manifestava la sussistenza di "servitù poste a carico ed a favore per destinazione del padre di famiglia" e, pertanto, la scrittura privata era valida anche senza la partecipazione dell'altra comproprietaria ( R. C.).
Per quanto riguarda il secondo motivo, premesso che la questione della non risolubilità per inadempimento di un contratto con prestazioni a carico di una sola parte risulta nuova, a prescindere del problema della sua fondatezza, si osserva che fuori luogo viene invocato l'art. 1069 cod. civ., comma 2, dal momento che, nella specie, non si discute di opere necessarie alla conservazione della servitù, ma della assunzione di un'obbligazione personale da parte di R.A..
Alla stregua di quanto osservato il ricorso va rigettato.
Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2014

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