mercoledì 19 agosto 2015

Le Sezioni Unite intervengono sul delitto di "prostituzione minorile". Cass., Sez. Unite, sent. 19 dicembre 2013 (dep. 14 aprile 2014), n. 16207


Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute per dirimere un conflitto giurisprudenziale venutosi a creare nel tempo in relazione al delitto di "prostituzione minorile" e relativamente al c.d. "fatto del cliente".
Con ordinanza dirimessione dell'11 giugno 2013 (depositata il 24 luglio 2013) la Terza Sezione della  Corte di Cassazione poneva alle S.U. i seguneti quesiti:"se il concetto di induzione alla prostituzione minorile sia integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente col soggetto agente; se il soggetto attivo del reato previsto dall'art. [600-bis] comma 1, cod. pen. possa essere colui che si limita a compiere atti sessuali col minore". 


Nel procedimento che ha portato all'ordinanza di rimessione alle S.U. era accaduto che l'imputato, un uomo adulto, aveva compiuto in più occasioni atti sessuali con tre ragazzini minorenni di origine straniera, in cambio di ospitalità, di piccole somme di denaro e di "modeste regalie". 
I ragazzini, al momento dei fatti, avevano un'età prossima ai diciotto anni e, alla luce di quanto accertato dall'istruttoria di merito, non risultavano essere stati oggetto né di minacce né di particolari condizionamenti, così come si erano sempre "riservati la facoltà di negare gli atti troppo invasivi" e spontaneamente recati presso l'abitazione dell'uomo.
La Corte d'Appello di Brescia aveva condannato l'imputato a sei anni e sette mesi di reclusione per il delitto di "induzione alla prostituzione" minorile di cui all'art. 600-bis comma 1 c.p., per averli comunque indotti a compiere atti sessuali con lui in cambio di elargizioni di vario tipo.

Avverso pronuncia della Corte d'Appello di Brescia il difensore dell'imputato aveva presentato ricorso per Cassazione, rilevando che i fatti, così come ricostruiti dalla Corte d'Appello, sarebbero stati al più da ricondurre al delitto meno grave di cui al comma secondo dell'art. 600-bis c.p., e non già all'ipotesi di "induzione alla prostituzione" di cui al comma primo.


La Terza Sezione della Corte di Cassazione aveva rilevato  la presenza, nella giurisprudenza di legittimità, di due orientamenti contrapposti in ordine alla nozione di "induzione alla prostituzione", maturati nel corso del tempo.

Secondo un primo orientamento, che richiamava il fenomeno della prostituzione del maggiore di età, il c.d. "fatto del cliente", e cioè il pagamento della prestazione sessuale, da solo non bastava ad integrare una condotta di "induzione alla prostituzione" penalmente rilevante.

Accanto a questo primo orientamento se ne riscontrava un secondo, ben più rigoroso, in forza del quale, in relazione alla fattispecie di "prostituzione minorile" di cui all'art. 600-bis c.p., il mero pagamento della prestazione sessuale del minore da parte del "cliente" rappresenterebbe di per sé una condotta di "induzione alla prostituzione" del minore medesimo, tale da attrarre la condotta in esame nell'orbita della fattispecie di cui al comma primo dell'art. 600-bis c.p. (che punisce con la reclusione da sei a dodici anni chi "recluta o induce" il minore alla prostituzione, al pari di chi "favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla" la prostituzione del minore).


Con la sentenza n. 16207/2013 le Sezioni Unite hanno aderito al primo orientamento chiarendo che il c.d. "fatto del cliente", e cioè il mero compimento di atti sessuali a pagamento con il minore, può rientrare esclusivamente nella fattispecie meno grave di cui al comma secondo del delitto di cui all'art. 600-bis c.p., non integrando di contro l'ipotesi di "induzione alla prostituzione" descritta al comma 1 della medesima norma e punita assai più severamente.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
SENTENZA N. 16207/2013
                
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 7 febbraio 2012, dichiarava S.L. responsabile dei reati di cui agli artt. 609 bis, 600 bis e 610 c.p., escludendo la sola ipotesi originariamente contestata di cui all'art. 609 quater c.p..
In parziale riforma di quella pronunzia, la Corte di appello di Brescia - con sentenza del 17 gennaio 2013 - assolveva il S., "perchè il fatto non sussiste", da tutte le imputazioni diverse dal reato di cui all'art. 600 bis c.p., per il quale confermava la condanna rideterminando la pena principale in anni sei e mesi sette di reclusione.
L'imputato, in particolare, veniva ritenuto colpevole del delitto di cui all'art. 600 bis c.p., comma 1, in relazione all'art. 81 c.p., comma 2, "perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, induceva S.T.M., M.K. e S.C., tutti di età inferiore ai 18 anni, a prostituirsi, concedendosi a lui, che compiva su di loro atti sessuali vari - toccamenti sul loro corpo interamente o parzialmente denudato, strofinamenti del suo corpo contro il loro corpo, atti di masturbazione da parte degli stessi su di lui - atti sessuali che egli ricompensava con la consegna, ogni volta, di piccole somme di denaro dai 5 ai 10 Euro e talora anche ai 20 Euro - in (OMISSIS)".
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo del difensore.
2.1. Con il primo motivo è stata eccepita l'erronea applicazione della legge penale quanto alla rilevanza delittuosa degli atti sessuali asseritamente compiuti dall'imputato sulle persone offese.
Secondo il ricorrente, non risponderebbe all'orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza di legittimità l'argomentazione secondo la quale abbracci prolungati e massaggi al busto ed alle gambe (praticati peraltro con i vestiti indossati), senza il consenso della persona offesa, integrino sempre e comunque il requisito della corporeità sessuale, intesa in senso fisico e non moralistico, ossia quel minimo indispensabile per potersi superare la soglia della penale rilevanza.
Mancherebbe, nella specie, la prova certa in ordine alla finalizzazione all'appagamento sessuale di simili atti, dovendosi escludere - per altro verso - comportamenti di costrizione fisica o psichica.
Nella motivazione non vi sarebbe poi logica dimostrazione, nè adeguato substrato probatorio, che vi sia stata una correlazione necessaria fra le dazioni e offerte di denaro del ricorrente nei confronti dei minori e le "prestazioni" da questi ultimi effettuate.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta l'erronea applicazione della legge penale, nonchè la carenza e/o illogicità della motivazione, quanto all'inquadramento della fattispecie nell'art. 600 bis c.p., comma 1, in luogo del comma secondo dello stesso articolo.
Il difensore ha prospettato che, in difetto di tracce di forme di persuasione o suggestione, pressione o coartazione morale da parte del S. nei confronti delle vittime - tre ragazzi minorenni prossimi però al raggiungimento della maggiore età - gli atti sessuali compiuti con costoro, in cambio di ospitalità loro fornita e di modeste ancorchè sistematiche regalie in denaro, dovrebbero più correttamente inquadrarsi nella fattispecie di minore gravità di cui comma secondo della norma citata.
Secondo l'atto di gravame, la sentenza impugnata da per scontato che si sia svolta una attività di induzione, sotto forma di sollecitazione e blandizie, senza peraltro che in motivazione venga spiegato in quale modo e con quali termini tale attività si sia concretamente esplicitata; trattandosi, a tutto concedere, di una libera e autonoma manifestazione di disponibilità agli incontri a carattere sessuale, l'inquadramento pertinente al caso di specie potrebbe essere, al limite, quello di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, e non già quello di cui al comma 1.
2.3. Il ricorrente ha lamentato, infine, il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giustificato nella sentenza sulla scorta della notevole gravità dei comportamenti e dei precedenti penali, senza tenere però nella giusta considerazione l'oggettivo limitato disvalore complessivo dei fatti e la estrema lontananza nel passato di quei precedenti (che aveva peraltro consentito che all'imputato fosse stata concessa la riabilitazione).
3. Il ricorso è stato assegnato alla Terza Sezione penale, la quale, all'udienza dell'11 giugno 2013 (con ordinanza depositata il successivo 24 luglio), ha ritenuto necessario investire le Sezioni Unite della valutazione "dei profili di criticità interpretativa" riconducibili alla nozione di "induzione alla prostituzione minorile" delineata dall'art. 600 bis c.p., comma 1, con particolare riguardo all'ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.
Nell'ordinanza di rimessione, il Collegio è partito dal considerare che, nella vicenda in esame, i primi contatti sessuali si erano consumati in assenza di un accordo fra il ricorrente e i minori in ordine ad un qualche compenso ed in assenza di previa dazione di utilità, laddove invece i successivi approcci a carattere sessuale erano stati accettati dai minorenni sul presupposto del ripetersi delle regalie che il ricorrente aveva loro elargito al termine del primo episodio.
In relazione a tali vicende il Collegio rimettente ha effettuato, quindi, una ricognizione delle posizioni giurisprudenziali in materia di "induzione alla prostituzione" ed ha rilevato che l'utilizzo, da parte del legislatore, del concetto di "induzione" anche con riferimento alla "prostituzione minorile", per effetto del disposto di cui all'art. 600 bis c.p. (introdotto dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 2, e poi modificato con la L. 6 febbraio 2006, n. 38, e successivamente con la L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4), ha generato uno scostamento della giurisprudenza di legittimità rispetto alle linee interpretative maturate con riguardo alla L. 20 febbraio 1958, n. 75 (nota come legge Merlin).
Nel caso di parte lesa maggiorenne, è stato affermato, infatti, che la mera prospettazione di vantaggi patrimoniali in cambio di prestazioni sessuali non costituisce condotta induttiva se non accompagnata da condotte ulteriori, sub specie di pressioni fisiche e psicologiche che, superando le resistenze di ordine morale (o di altra natura) che trattengono la persona dall'attività di prostituzione, incidono sulla libertà fisica e/o psichica della persona che viene spinta a prostituirsi (Sez. 3, n. 36156 del 03/06/2004, P.M. in proc. Nicolo, Rv. 229389).
Nell'ipotesi, invece, di vittima minorenne, si è ritenuto - con un ben più rigoroso orientamento - che la condotta induttiva può consistere anche nel mero pagamento della prestazione da parte del "cliente", che persuada il minore a consentire agli atti sessuali, non essendo peraltro necessario che la persona sia "non iniziata e non dedita alla vendita del proprio corpo".
E' stato così affermato il principio secondo il quale "anche gli atti sessuali a pagamento con minore, posti in essere in unica occasione con il solo autore del reato, possono integrare la fattispecie di induzione alla prostituzione" (principio enunciato per la prima volta da Sez. 3, n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni, Rv.
234787 e successivamente ribadito dalla stessa Sezione con plurime decisioni).
Tale interpretazione di maggiore severità viene correlata al quadro normativo internazionale e sovranazionale in materia di sfruttamento della sessualità dei minori, che impone "una tutela penale più pregnante per i minori, rispetto agli adulti, perchè i primi sono soggetti manipolabili, inadeguati ad autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo psico-fisico" (Sez. 3, n. 4235 del 11/01/2011, Fusco, Rv. 249316).
Esposti i nuclei essenziali degli orientamenti di legittimità formatisi nell'interpretazione della nozione di "induzione alla prostituzione" utilizzata dal legislatore sia nella L. n. 75 del 1958, sia nell'art. 600 bis c.p., il Collegio rimettente ha evidenziato il netto divario tra le condotte illecite descritte nelle fattispecie incriminatrici di cui all'art. 600 bis c.p., commi 1 e 2, e la differenza notevole delle pene rispettivamente ad esse correlate.
Ha sollecitato, pertanto, l'intervento delle Sezioni Unite, ravvisando la necessità di chiarire - a fronte della tradizionale nozione di "induzione alla prostituzione" riferita a soggetti maggiorenni - se le esigenze di tutela dei minori possano giustificare un approccio differenziato, tale da condurre al punto di ritenere che il concetto giuridico di "prostituzione minorile" sia integrato anche nella ipotesi che la relazione sessuale dietro compenso sia limitata ad un unico adulto in assenza di intermediari e/o sfruttatori e, successivamente, che l'attività di "induzione" nei confronti del minorenne possa essere configurata anche nella sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, così da convincere la vittima a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.
4. Con decreto in data 29 luglio 2013, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Deve ribadirsi, al riguardo, l'orientamento costante di questa Corte secondo il quale la nozione legislativa di "atti sessuali" (rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 609 bis c.p., ma anche dell'art. 600 bis c.p.) ricomprende oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorchè fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale.
Punti focali sono la concreta idoneità della condotta, esprimente l'impulso sessuale dell'agente, a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, mentre nessun rilievo decisivo si connette all'effettivo ottenimento del soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente medesimo. Ne consegue che anche i palpeggiamenti, i toccamenti e gli sfregamenti corporei, posti in essere nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale, in quanto coinvolgono la corporeità della vittima, possono costituire una indebita intrusione nella sfera sessuale di quella.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, inoltre, "l'elemento caratterizzante l'atto di prostituzione non è necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della prestazione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o che è destinatario della prestazione", non essendo stato "mai messo in dubbio che l'attività di chi si prostituisce può consistere anche nella esecuzione di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stesso in presenza di chi ha chiesto la prestazione, pagando un compenso, al fine di soddisfare la propria libidine, senza che intervenga alcun contatto fisico tra le parti" (cfr. Sez. 3, n. 25464 del 22/04/2004, Mannone, Rv. 228692).
Nella fattispecie in esame i giudici del merito si sono correttamente attenuti ai principi di diritto dianzi enunciati.
Risulta accertato, invero, che il S. abbordava e conduceva nella propria abitazione i minori con il pretesto di fare svolgere ad essi semplici mansioni domestiche, ma al vero scopo di poterli fare spogliare e non solo osservarli ma compiere su di loro toccamenti, abbracci, massaggi ed altri contatti corporei anche diretti a cosce e genitali, spingendosi a farsi masturbare dallo S.T. (vedi, al riguardo, le dichiarazioni rispettivamente rese al dibattimento dai tre ragazzi, valutate con ampie e logiche argomentazioni nella sentenza impugnata).
A fronte della ricostruzione dei fatti come sopra effettuata, va rilevato che la motivazione della Corte di merito: a) è "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;
b) non è "manifestamente illogica", in quanto risulta sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non è internamente contraddittoria, apparendo al contrario esente da incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute.
Il ricorrente, del resto, non ha indicato in termini specifici alcun atto del processo autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale da disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determinare al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
2. Al secondo motivo si connette la questione di diritto, per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite, rivolta a stabilire "se la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integri gli estremi della fattispecie di cui al comma primo o di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2".
3. Appare opportuno ricordare, al riguardo, che - nella elencazione casistica di fattispecie illecite adottata dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75 (nota come legge Merlin) - è ricompresa, all'art. 3, comma 2, n. 5, la condotta di "chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità".
Nelle previsioni della L. n. 75 del 1958, la condotta di "induzione alla prostituzione minorile" derivava poi dall'interazione di tale norma incriminatrice con il disposto del successivo art. 4, n. 2, che contemplava come circostanza aggravante, comportante il raddoppio della pena, l'ipotesi che i fatti previsti all'art. 3 e dunque anche la condotta induttiva, fossero commessi "ai danni di una persona minore degli anni 21 o di persona in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata". La legge Merlin estendeva dunque la tutela a tutti gli infraventunenni, con riferimento all'adora vigente limite per la maggiore età.
L'assetto normativo così consolidatosi in tema di prostituzione ha subito, dopo un quarantennio, un radicale mutamento per quanto riguarda la tutela dei minori, per effetto dell'entrata in vigore della L. 3 agosto 1998, n. 269, nota anche come legge contro la pedofilia (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998).
La promulgazione di tale legge è derivata dalla necessità per l'Italia di conformarsi ai principi sanciti nella Convenzione di New York del 1989, ratificata con la L. 27 maggio 1991, n. 176, e dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma adottata il 31 agosto del 1996: principi che individuano "il fanciullo come soggetto da tutelare contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale, a salvaguardia del suo sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale" (la L. n. 269 del 1998, art. 1, presentandosi come una sorta di preambolo introduttivo e giustificativo, fa espresso riferimento a tali documenti internazionali).
La protezione del fanciullo è principalmente perseguita, dal legislatore del 1998, attraverso il deciso rafforzamento dell'apparato normativo volto alla tutela penale del minore, sia attraverso l'introduzione di nuove fattispecie delittuose dopo l'art. 600 del codice penale - come appunto l'art. 600 bis (prostituzione minorile) con relative circostanze aggravanti e attenuanti - sia mediante la collocazione sistematica di tali norme nel Libro II del codice, in particolare nella Sezione I del Capo III del Titolo XII, dedicata ai delitti contro la personalità individuale, individuata (secondo quanto emerge dai lavori preparatori) come la più congrua ad esprimere il reato che si compie nei confronti dell'integrità del minore medesimo.
L'art. 600 bis c.p., nella formulazione del 1998, così recitava:
"Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni. - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire dieci milioni. La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli anni diciotto".
Nella legge del 1998, la nuova incriminazione era accompagnata dalla previsione di circostanze aggravanti ed attenuanti (individuate nell'allora art. 600 sexies c.p.): tra le altre, l'aumento da un terzo alla metà per i fatti previsti dall'art. 600 bis, comma 1, (induzione, favoreggiamento, sfruttamento), commessi in danno di minore degli anni quattordici e la previsione di aumento di pena in caso di fatto commesso con violenza o minaccia.
Contestualmente all'introduzione dell'art. 600 bis c.p., la L. n. 269 del 1998, art. 18, ha decretato l'abrogazione della sopra ricordata circostanza aggravante di cui all'art. 4, n. 2 della legge Merlin, nella parte in cui prevedeva l'applicazione di una pena raddoppiata per le ipotesi in cui il fatto fosse commesso a danno di persona minore degli anni ventuno.
L'ordinamento registra dunque, con la L. n. 269 del 1998, la creazione di una fattispecie autonoma di "induzione" (oltre che di favoreggiamento e sfruttamento) "della prostituzione minorile", laddove in precedenza la minore età della vittima rappresentava mera circostanza aggravante, nonché la creazione di una nuova figura di reato, quella di atti sessuali retribuiti con minorenne, del tutto inedita nel catalogo criminale.
Nei lavori preparatori della L. n. 269 del 1998, viene espressamente affermato che con la nuova norma si è voluto sottolineare che la personalità del minore, oltre che l'abuso sessuale, subisce un ulteriore abuso: quello della compravendita, donde, seppur nella differenziazione sia del reato che delle pene, una non assoluta alterità tra chi sfrutta la prostituzione e il "cliente", posto che entrambi entrano, sia pure con ruoli molto diversi, nella circolante della domanda e dell'offerta, essendo i terminali di un rapporto al cui centro sta l'offesa all'integrità del minore.
A distanza di pochi anni dall'entrata in vigore della legge antipedofilia e dalla introduzione dell'art. 600 bis c.p., è intervenuta una prima modifica di tale norma, per effetto della L. 6 febbraio 2006, n. 38 (emanata per dare attuazione a quanto stabilito dalla decisione-quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell'Unione Europea, approvata il 22-12-2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile) che ha innalzato la soglia di età della vittima degli atti sessuali dietro retribuzione, pareggiandola a quella del minore indotto o sfruttato ma operando una distinzione ai fini della pena: ai sensi dell'art. 1 della legge citata, infatti, l'art. 600 bis c.p., commi 2 e 3, sono stati completamente riscritti, sicchè "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a Euro 5.164 (comma 1), mentre nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni" (comma 2).
Una più radicale modifica è stata introdotta, per ultimo, dalla legge 1 ottobre 2012, n. 172 (entrata in vigore il 23 ottobre 2012) con la quale l'Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, stipulata a Lanzarote il 25 ottobre 2007.
L'art. 4 di detta legge ha totalmente riscritto l'art. 600 bis c.p., e la nuova ed allo stato vigente formulazione della norma prevede - al comma primo - la punizione con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 15.000 a Euro 150.000 di chiunque:
1) recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto;
2) favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae profitto.
Ai sensi del comma secondo, invece: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da Euro 1.500 a Euro 6.000".
Sono stati aggiunti poi, all'art. 602 ter, dopo il comma 2, ulteriori commi che introducono circostanze aggravanti: tra di essi, ai fini che qui rilevano, il comma (quinto) che prevede che nei casi previsti dall'art. 600 bis, commi 1 e 2, artt. 600 ter e 600 quinquies, nonché dagli artt. 600, 601 e 602, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici.
4. Nella vicenda in esame, relativa a condotte delittuose la cui perpetrazione è riferita temporalmente al periodo "dal 2005 al 2009", si applica l'art. 600 bis c.p., nelle rispettive previsioni delle L. n. 269 del 1998, e L. n. 38 del 2006, mentre non trova applicazione il nuovo e più gravoso assetto normativo di cui alla L. n. 172 del 2012.
5. Con riferimento alla normativa applicabile al caso concreto la formulazione dell'art. 600 bis c.p., pone una netta differenziazione (resa più marcata per effetto delle modificazioni introdotte dalla L. n. 172 del 2012) fra la più grave ipotesi di cui al primo comma, fattispecie destinata a punire coloro che avviano i minori all'attività di prostituzione, li trattengono in tale attività e ne traggono vantaggio, e quella di cui al secondo comma, funzionale alla punizione di coloro che si limitano a compiere atti sessuali a pagamento con soggetti minorenni, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno già dediti ad attività di mercimonio sessuale del proprio corpo.
In relazione a tali diverse previsioni incriminatrici la Sezione remittente ha dubitato della possibilità di applicazione, nell'interpretazione delle stesse, dei principi che la giurisprudenza di legittimità ha enunciato con riferimento alla disciplina dettata dalla L. n. 75 del 1958, per il reato di "induzione alla prostituzione" di persona maggiorenne.
5.1. Nel caso di prostituzione di persona maggiorenne è stato evidenziato in dottrina come la legge Merlin (di fronte alla evoluzione storica di un fenomeno, i cui aspetti più preoccupanti sono quelli legati all'impressionante quota di attività direttamente gestita dalla criminalità organizzata) abbia perseguito la finalità di riconsegnare all'alveo dell'attività del tutto libera, non sanzionabile da parte dell'ordinamento, l'esercizio del meretricio che sia frutto di una scelta non condizionata da forme di coazione o di sfruttamento.
Anche questa Corte ha recentemente osservato (Sez. 3, sent. n. 20384 del 29/01/2013, Bolzanello, Rv. 255426), in proposito, che bisogna muovere "dal punto fermo rappresentato dalla scelta del legislatore di considerare attività non vietata, e dunque in sè lecita, quella che la persona liberamente svolge scambiando la propria fisicità contro denaro", ed ha ricordato che "le sanzioni penali fissate dalla L. 20 gennaio 1958, n. 75, debbono essere applicate a coloro che condizionano la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all'attività di prostituzione eccedendo i limiti dell'ordinaria prestazione di servizi", sottolineando la necessità di non operare interpretazioni tali "da reintrodurre surrettiziamente presupposti di illiceità in sè della prostituzione che vengono formalmente ed espressamente negati e che, invece, potrebbero finire per qualificare come illegali condotte e prestazioni di servizi alla prostituta che non risulterebbero penalmente rilevanti se destinati ad altre attività".
5.2. Quanto vale per gli adulti muta tuttavia completamente nel caso dei minori, essendo la dottrina e la giurisprudenza concordi sull'impossibilità di considerare "libera" la prostituzione di soggetti minorenni.
Per il minore, infatti, la prostituzione rappresenta raramente il frutto di una scelta spontanea, essendo prevalentemente determinata da pressioni (o da vere e proprie coercizioni) di fronte alle quali egli non dispone di alcuna valida alternativa, sicchè l'atto sessuale compiuto dal minore prostituito non può inquadrarsi in un'area di libertà, area la cui sostanziale inesistenza il "cliente" non può dunque nè ignorare, nè fingere di non conoscere.
Quand'anche, poi, si dovesse riscontrare l'assenza di interventi esterni di condizionamento di tale spazio di libertà, è comunque ragionevole che l'ordinamento vieti l'acquisto di prestazione sessuali presso un soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute della mercificazione del proprio corpo sul suo sviluppo psico-fisico; ne consegue che, indipendentemente dal suo atteggiamento psicologico e dalla sua condotta (quand'anche connivente o adescatrice), il minore è reputato sempre e comunque una vittima.
Il carattere "non libero" della prostituzione minorile - ritenuta dal legislatore come condotta che comporta l'annientamento della personalità individuale del minore - spiega, sul piano teorico, la punibilità della condotta del "cliente", del tutto immune da censure sul piano penale se invece rapportata alla prostituzione di soggetto adulto.
6. L'induzione alla prostituzione di maggiorenne - in mancanza di una specifica definizione legislativa ma in coerenza con il primo criterio ermeneutico indicato dall'art. 12 delle "Disposizione sulla legge in generale" rispetto al significato che del termine è universalmente accettato nella lingua italiana - è stata tradizionalmente ritenuta come quell'attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione, svolta nei confronti di un soggetto, sia facendo sorgere in quello l'idea di prostituirsi, sia aggiungendo ulteriori motivi o stimoli per dedicarsi alla prostituzione o a riprendere tale attività se interrotta ed a persistervi se volesse abbandonarla (vedi già Sez. 3: n. 1833 del 20/12/1968, Pagani, Rv. 111772; n. 2298 del 04/12/1978, Madaschi, Rv.
141310; n. 8869 del 12/03/1984, Furnari, Rv. 166148). L'opera di convincimento può consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere, ma deve realizzarsi in una attività positiva, idonea e concreta, non essendo sufficiente la semplice inerzia o tolleranza e neppure la semplice proposta e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa, sicchè senza il fatto del colpevole il soggetto non si sarebbe dato alla prostituzione.
La mera proposta di partecipare ad incontri sessuali a pagamento non costituisce condotta induttiva se non accompagnata da condotte ulteriori consistenti in pressioni fisiche o psicologiche che spingono la persona a prostituirsi superando le resistenze di ordine morale, o di altra natura, che la trattengono dall'attività di prostituzione (così Sez. 2: n. 7424 del 13/05/1987, Cito, Rv.
176185; n. 36156 del 03/06/2004, Nicolo, Rv. 229389; n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni, Rv. 234787; n. 26216 del 19/05/2010, A.F., Rv.
247696).
La dottrina assolutamente prevalente esclude la configurazione della condotta di induzione nell'ipotesi del "cliente" stesso della prostituta maggiorenne, che, inteso quale mero fruitore delle prestazioni sessuali, viene considerato del tutto estraneo a tale ipotesi criminosa.
Anche in giurisprudenza non paiono registrarsi orientamenti, nell'ambito della prostituzione di maggiorenne, che qualifichino come illecita - sub specie dell'induzione - la condotta del "cliente";
condotta piuttosto inquadrata in alcune pronunce di merito nella diversa ipotesi del favoreggiamento, ma con esiti che essenzialmente non hanno resistito al vaglio di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 16536 del 14/02/2001, Mazzanti, Rv. 218870).
Nè un'interpretazione di segno contrario sembra possa riconnettersi ai precedenti menzionati nella sentenza n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni.
In particolare, la sentenza Traiani (Sez. 3, n. 6191 del 20/04/1983, Rv. 159699, secondo cui sussiste l'attività di prostituzione anche nel caso di rapporto con una sola persona) parrebbe non riguardare il "fatto del cliente", bensì il caso in cui la condotta induttiva era consistita nell'invito rivolto ad una donna ad incontrarsi effettivamente con un solo individuo di sesso maschile, ma diverso dal soggetto induttore.
Anche la lettura della sentenza Rizzeri (Sez. 1, n. 7947 del 13/03/1986, Rv. 173482), relativa al caso di donna indotta a concedersi in favore di una sola persona per avere in cambio sostanze stupefacenti, non chiarisce se vi sia stata coincidenza o alterità fra "induttore" e "fruitore" delle prestazioni sessuali della donna.
7. Diversamente, nell'ipotesi di vittima minorenne, a partire dalla sentenza Cantoni n. 33470 del 2006 ("capofila" dell'orientamento adottato da questa Corte in materia di induzione alla prostituzione minorile "per fatto del cliente"), la Sezione Terza ha affermato che l'adulto che paga il minore perchè compia con lui atti sessuali contestualmente lo induce alla prostituzione e perciò deve rispondere ai sensi dell'art. 600 bis c.p., comma 1.
Nella sentenza Cantoni (e nelle sentenze n. 43820 del 26/11/2007, C.M., non massimata; n. 26216 del 19/05/2010, A.F., Rv. 247696; n. 16759 del 07/02/2013, Gerbino, Rv. 255453) si è tuttavia evidenziata la necessità che la dazione del corrispettivo sia accompagnata da un'opera di convincimento finalizzata a vincere la resistenza del minore.
La sentenza n. 18315 del 14/04/2010, R.S., Rv. 247163 - in una fattispecie in cui all'indagato veniva contestato di avere indotto alla prostituzione un ragazzino che non aveva ancora compiuto dieci anni, convincendolo ad avere con lui rapporti sessuali dietro remunerazione - ha affermato, invece, che la semplice dazione di denaro doveva considerarsi sufficiente a persuadere il minore a consentire agli atti sessuali sia pure esclusivamente con il soggetto agente.
Con la sentenza n. 4235 del 11/01/2011, F., Rv. 249316, nella condotta di induzione è stata ricompresa anche una ripetuta dazione o offerta di danaro o altra utilità che, di per sè sola considerata, ossia interamente affrancata dalla necessità di ulteriori requisiti di condotta "suggestiva" (verbale o di altra natura), abbia spinto il minore al meretricio.
8. A fronte del quadro interpretativo dianzi delineato, rileva il Collegio che anche la condotta di induzione alla prostituzione minorile (sanzionata dall'art. 600 bis c.p., comma 1), per essere penalmente rilevante, deve essere sganciata dall'occasione nella quale l'agente è parte del rapporto sessuale e oggettivamente rivolta ad operare sulla prostituzione esercitata nei confronti di terzi.
L'induzione del minore alla prostituzione prescinde dall'effettuazione diretta dell'atto sessuale con l'induttore e può riguardare soltanto chi determina, persuade o convince il soggetto passivo a concedere il proprio corpo per pratiche sessuali da tenere non esclusivamente con il persuasore ma con terzi, che possono consistere anche in una sola persona, a condizione però che questa non si identifichi nell'induttore.
Il principio secondo il quale sussiste l'attività di prostituzione di soggetto adulto anche nel caso di rapporto con una sola persona è affermato da Sez. 3, n. 6191 del 20/04/1983, Traiani, Rv. 159699;
Sez. 1, n. 7947 del 13/03/1986, Rizzeri, Rv. 173482; Sez. 3, n. 7933 del 04/05/1984, Sanfilippo, Rv. 165879. In tema di prostituzione minorile lo stesso principio è enunciato da Sez. 3, n. 7368 del 18/01/2012, L, Rv. 252133.
Nella nostra tradizione giuridica il tipo normativo della "induzione alla prostituzione" si pone - infatti - dal lato dell'offerta del sesso mercenario e non della domanda, sicchè la basilare distinzione fra induttore e cliente deve muoversi fra attività rientranti nell'ambito dell'offerta di prostituzione e attività rientranti nell'ambito della domanda.
Dagli stessi lavori preparatori della L. n. 269 del 1998 (relazione alla proposta di legge dell'on. Serafini) emerge chiaramente che solo con l'art. 600 bis c.p., comma 2, "si introduce ... una figura nuova nel nostro codice: la figura del cliente"; ne consegue che l'unica fattispecie utilizzabile ai fini dell'incriminazione del cliente è quella prevista dall'art. 600 bis c.p., comma 2.
Tale opzione interpretativa non compromette le esigenze di maggior tutela del minore rispetto all'adulto affermate anche a livello sovranazionale, poichè la valenza persuasiva strutturalmente insita nel pagamento del minore per ottenere una prestazione sessuale diretta è già assorbita dal disvalore tipico del fatto descritto nell'art. 600 bis c.p., comma 2.
L'induzione di cui allo stesso art. 600 bis, comma 1, è stata distinta dal legislatore dalla mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento in quanto equiparata a condotte di indubbia maggiore offensività (reclutamento, sfruttamento, favoreggiamento, organizzazione e gestione della prostituzione minorile) che ben giustificano - a fronte della collocazione sistematica delle due fattispecie all'interno del medesimo articolo - il diversissimo quadro edittale di pena.
Tenuto conto che la fattispecie di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, presuppone la necessaria correlazione causale fra la dazione o la promessa di danaro o di altra utilità e la prestazione sessuale del minore, deve essere altresì evidenziato che la figura polivalente ed ubiquitaria del cliente mero fruitore del sesso a pagamento che, come tale, contestualmente indurrebbe il minore alla prostituzione comporterebbe, di fatto, l'abrogazione implicita dello stesso art. 600 bis, comma 2, (che, come osservato da autorevole dottrina, sarebbe "nato già morto").
Non possono ritenersi decisivi, in senso contrario, argomenti basati sulla collocazione del reato di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, sotto la rubrica "Prostituzione minorile": non c'è dubbio infatti che la condotta descritta dal comma 2, presenta pur sempre un collegamento con il fenomeno della prostituzione minorile in quanto in molteplici casi essa può essere destinata ad inserirsi in un contesto di sfruttamento sistematico del minore; tuttavia la ratio della norma in esame è quella di sanzionare autonomamente anche il singolo ed estemporaneo rapporto a pagamento per la sua attitudine ad alimentare, sia pure indirettamente, il circuito della prostituzione (lo stimolo del compenso, infatti, potrebbe spingere il minore a proseguire l'attività e ad estendere la sfera dei clienti, con l'inevitabile pericolo di determinare, nel tempo, un suo stabile inserimento nel mercato).
Nell'ambito dell'induzione alla prostituzione di soggetto maggiorenne il legislatore, se avesse ritenuto di poter punire il cliente, avrebbe fatto emergere la contraddizione di un ordinamento che da una parte considera lecito il meretricio in quanto tale, cioè l'offerta, e dall'altra sanziona penalmente la richiesta della prestazione, cioè la domanda.
L'incriminazione del cliente in ambito minorile - sancita con l'art. 600 bis c.p., comma 2, - costituisce, invece, un'evidente eccezione rispetto a tale paradigma, perfettamente giustificata dal diverso oggetto giuridico e dalla differente finalità di tutela, ma che come tale, ossia proprio in quanto fattispecie autonoma di incriminazione della dazione/offerta di denaro da parte del cliente per avere rapporti sessuali con il minore, segna la chiara conferma, a contrario, della impossibilità di ravvisare una attività induttiva nella sola condotta di chi domanda ad un minore prestazioni sessuali come "consumatore" dandone o promettendone il pagamento; condotta che invece deve necessariamente rientrare, pena appunto una tacita abrogazione, nella fattispecie di cui al comma 2, altrimenti applicabile soltanto nella pur esistente ma certamente ridotta casistica di dazione/offerta rivolta verso minore già dedito alla prostituzione, in aperta contraddizione però con il consolidato approdo giurisprudenziale che ha ripudiato fermamente, almeno negli ultimi anni, ogni vaga idea di minore "corrotto".
9. Ritiene in conclusione la Corte di dovere affermare il seguente principio di diritto: "La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell'art. 600-bis del codice penale".
10. Per tutte le considerazioni dianzi svolte, i fatti per i quali nel presente giudizio è stata riconosciuta la responsabilità del S. devono essere qualificati come violazione dell'art. 600 bis c.p., comma 2, e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per la determinazione della pena da correlarsi a tale fattispecie incriminatrice.
Poichè le condotte illecite ascritte al ricorrente sono state contestate come commesse in Brescia "dal 2005 al 2009", il giudice del rinvio dovrà altresì procedere ad una specifica collocazione temporale delle stesse, al fine di riscontrare l'eventuale prescrizione di alcuni segmenti di esse, tenendo comunque conto che i termini di prescrizione dovranno essere computati fino alla data di pronuncia della presente sentenza.
11. Va rilevato, infine, che correttamente i giudici del merito hanno denegato il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità di delinquere dell'imputato.
Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Anche il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge - in carenza di congrui elementi di segno positivo - con argomentazioni razionali ha dato rilevanza decisiva alla gravità dei fatti, alla "pervicacia del prevenuto ed al numero delle parti lese anche in rapporto all'arco temporale interessato", deducendo logicamente prevalenti significazioni negative della personalità dell'imputato dai precedenti penali anche specifici dello stesso, il quale "non aveva dato segno di un minimo pentimento, neppure trovandosi di fronte alle vittime".

P.Q.M.
Qualificati i fatti come violazione dell'art. 600 bis c.p., comma 2, annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per la determinazione della pena.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2014

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