martedì 1 settembre 2015

Risarcimento del danno esistenziale da immissioni rumorose: due decisioni a confronto.




Con le due decisioni che seguono la Corte di Cassazione è intervenuta sul problema delle immissioni rumorose e sulla risarcibilità, nella specie, del danno esistenziale e del danno alla salute che queste possono arrecare.

Con la sentenza numero 10173/2015 (qui sotto integralmente riportata) la seconda Sezione ha stabilito che “anche un semplice condizionatore può produrre rumori che superano la normale tollerabilità (V. art. 844 c.c.), specialmente quando resta in funzione anche nelle ore notturne”.
La Suprema Corte ha altresì statuito che se si intende richiedere anche il risarcimento del danno alla salute è necessario produrre la necessaria documentazione medica che può essere idoneamente sostituita con una consulenza tecnica di parte da cui risulti una lesione di carattere psicofisico riconducibile ai rumori.
Infatti, chi subisce le immissioni rumorose che superano la normale tollerabilità può ottenere sia il risarcimento del danno esistenziale sia il risarcimento del danno biologico, ma quest'ultimo deve essere documentato.
Nel caso preso in esame dalla richiamata sentenza due condomini, esasperati per il propagarsi nel loro appartamento di rumori provenienti da un impianto di climatizzazione installato dai vicini, avevano chiesto giudizialmente il risarcimento dei danni subiti e la condanna dei proprietari di quest’ultimo ad eseguire le opere necessarie per ridurre la rumorosità dell’impianto.
In primo grado il giudice di pace aveva accolto in parte la domanda condannando i proprietari del climatizzatore al risarcimento del danno esistenziale liquidato nella somma di € 1100 per ciascuna parte e aveva condannato i proprietari dell'impianto ad eseguire le opere necessarie per ridurre le immissioni. 
In appello i danneggiati avevano lamentato che il primo giudice non aveva riconosciuto loro il risarcimento del danno alla salute e che non era stata ammessa la consulenza tecnica d'ufficio da loro richiesta per dimostrare la lesione di carattere psico-fisico.
Orbene, secondo la Cassazione però, per poter ammettere una consulenza tecnica d'ufficio è necessario che vi sia almeno un principio di prova del danno che si intende dimostrare (e nella specie sarebbe bastata della documentazione medica o una consulenza di parte). In mancanza di tale documentazione, una CTU avrebbe assunto un carattere meramente esplorativo e come tale inammissibile.
Con la sentenza numero 17013/2015, depositata in data 20 agosto 2015 (testo integrale al link sotto riportato), la Suprema Corte è ritornata sul tema delle immissioni rumorose, stavolta prodotte da un gregge di pecore, stabilendo che i rumori degli animali, che con i loro belati e campanacci disturbavano il risposo e la quiete dei proprietari dell’edificio confinante con il luogo del pascolo, sono qualificabili come immissioni superanti la normale tollerabilità ai sensi dell’art. 844 c.c., e quindi in astratto idonee a provocare un danno ai soggetti che vi sono quotidianamente esposti ma che il danno non patrimoniale deve essere debitamente provato.
Nel caso di specie la Corte, pur avendo ordinato che gli animali venissero “confinati” in recinti lontani almeno 100 metri dall’abitazione dei ricorrenti, proprio per impedire il ripetersi del fenomeno immissivo, non ha però accolto le richieste di risarcimento del danno esistenziale,  preteso dai ricorrenti sulla base della lesione dei loro diritti costituzionali, fra i quali quello alla libertà di spostamento, al tranquillo godimento del domicilio, alla serena fruizione del tempo libero, tutti compromessi dai rumori prodotti dagli animali.
Gli ermellini hanno ritenuto che i ricorrenti non avessero assolto l’onere della prova su di loro gravante in relazione al del danno esistenziale asseritamente subito, né in termini di an, né in termini di quantum debeatur.
La Corte ha così ulteriormente precisato che per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale (in specie qualificato come danno esistenziale), occorre la prova di una lesione concreta e tale da renderne costituzionalmente meritevole il ristoro dello stesso, senza rischiare di compromettere l’equilibrio tra il dovere di protezione e solidarietà verso la vittima e il generale dovere di tolleranza nei rapporti sociali.









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