Non è applicabile l’IVA alla tariffa di igiene
ambientale (TIA). La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definitivamente
chiuso l’annosa questione dell’applicabilità dell’IVA alla TIA dichiarandone
l’illegittimità ed aprendo così la strada per i contribuenti al rimborso di
quanto ingiustamente pagato.
Con la sentenza n. 5078/2016 le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione hanno stabilito che la tariffa per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani (TIA), non può essere assoggettata ad IVA in quanto ha
natura tributaria, mentre l’IVA mira a colpire la capacità contribuita che si
manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in
linea con quanto previsto dall’art. 3 del DPR n. 633/1972, non quando si paga
un’imposta, anche se destinata a finanziare un servizio da cui trae benefici lo
stesso contribuente.
In definitiva, la TIA è una tassa e dunque non si
può applicare l’IVA su di essa.
La sentenza avrà
importati risvolti pratici per i contribuenti in quanto obbliga tutti i gestori dei servizi ambientali a restituire le somme
sottratte ai clienti a tiolo di imposta sul valore aggiunto non applicabile.
E’ auspicabile
che i rimborsi vengano effettuati in via automatica cercando di evitare il più
possibile i contenziosi vista l’esiguità delle cifre di cui si tratta, in molti
casi poche decine di euro.
Come indicato da
giuristi ed esperti il modo migliore per adempiere al dettato delle Sezioni
Unite potrebbe essere quello di
restituire direttamente ai contribuenti le somme indebitamente pagate
attraverso sconti inseriti direttamente nelle bollette.
Cassazione civile, sez. un., 15/03/2016,
n. 5078
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il
Giudice di Pace di Venezia, su ricorso di B.G., in data 22/9/2009, ingiunse
alla Veneziana Energie Risorse Idriche Ambiente Servizi - V.E.R.I.T.A.S.
s.p.a., di seguito Veritas, il pagamento della somma di Euro 67,36, oltre
interessi e spese, a titolo di ripetizione di Iva applicata alla Tariffa di
Igiene Ambientale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 - cd. Tia- riscossa
dalla Veritas, nella qualità di affidataria del servizio di raccolta e di
smaltimento rifiuti per il Comune di Venezia, riconoscendo alla Tariffa la
natura di tributo e ritenendo alla stessa inapplicabile l'Iva. L'opposizione
proposta dalla Veritas venne rigettata con sentenza del 4/7/2011.
2. Il
Tribunale di Venezia, adito dalla società, con sentenza del 14/3/2014, n. 574,
accolse l'appello limitatamente al regime delle spese processuali, confermando
nel resto la decisione di 1 grado. Il tribunale riaffermò la natura tributaria
della Tia in quanto mera variante della Tarsu, in conformità alla
giurisprudenza della Corte Costituzionale n. 64/2010 e delle successive
pronunce di questa Corte; escluse l'assoggettabilità della Tia ad Iva sia per
l'assenza di una normativa specifica, sia per essere le relative entrate
riconducibili ai diritti, canoni e contributi percepiti nell'esercizio di
pubbliche autorità.
3.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro
motivi la Veritas; resiste con controricorso B. G.. Con istanza del 29/1/2015
la Veritas ha chiesto la rimessione della questione alle SS.UU., assumendo
l'esistenza di un contrasto tra le sezioni civili della Corte, nonchè la particolare
importanza della questione. Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con
primo motivo la ricorrente assume la " violazione e/o falsa applicazione
del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 3, art. 4, commi 2, 3 e comma 5, lett. b,
D.L. n. 557 del 1993, art. 4, conv. in L. n. 133 del 1994, introduttivo della
voce 127 sexiesdecies di cui alla Parte Terza della Tabella A, allegata al
D.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la
sentenza impugnata escluso la soggezione ad Iva della Tia sulla base della
erroneamente supposta inesistenza di norme espresse che prevedano
l'assoggettamento ad Iva della tariffa disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997,
art. 49, nonchè per avere la sentenza affermato che la prestazione di raccolta
e smaltimento dei rifiuti, in assenza di norme impositive espresse (che pur si
danno) sarebbe esente dall'imposta sul valore aggiunto". La modifica alla
parte terza della Tab. A del D.P.R. n. 633 del 1972, introdotta dal D.L. 30
dicembre 1997, n. 557, art. 4, con la quale è stato aggiunto il numero:
"127- sexiesdecies - prestazioni di smaltimento, previste dal D.P.R. 10
settembre 1982, n. 915, art. 1, di rifiuti urbani e speciali di cui all'art. 3,
commi 1 e 2, dello stesso decreto."- farebbe appunto riferimento alle
prestazioni svolte dalla Veritas. La norma sarebbe stata introdotta a seguito
della abrogazione, contenuta nell'art. 2 della stesso d.l., dell'originaria
esenzione dall'iva delle prestazione di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti
solidi urbani. Nello stesso senso, l'art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1 del D.M.
24/19/2000, n. 370, prevederebbero la possibile emissione di bollette che
tengono luogo delle fatture, all'esito della prestazione del servizio, con
relativa annotazione nel registro previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 24.
Erroneo sarebbe inoltre il richiamo del giudice di appello al D.P.R. n. 633 del
1972, art. 4, comma 5, lett. b), norma "eccezionale" dalla quale non
potrebbe conseguire "che le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti
necessitino di essere ricondotte, una per una, nel campo di applicazione
dell'Iva da previsioni speciali".
5. Con
secondo motivo la ricorrente assume la "violazione o falsa applicazione
del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972,
artt. 1, 3 e 4, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la
sentenza impugnata ha escluso l'assoggettabilità ad Iva della tariffa di
gestione dei rifiuti per la supposta assenza di un rapporto sinallagmatico tra
il servizio di smaltimento dei rifiuti e la controprestazione gravante sugli
utenti, beneficiari del servizio". La determinazione del corrispettivo,
prescinderebbe dal rapporto sinallagmatico; la nozione di
"corrispettivo" ai fini Iva andrebbe correlata non alla nozione
civilistica di contratto sinallagmatico, bensì ad un "collegamento
economicamente valutabile". Secondo la ricorrente le prestazioni di
servizio di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 prescinderebbero dalla fonte
del rapporto; la correlazione non potrebbe essere esclusa dalla circostanza che
parte della tariffa sia destinata a remunerare le prestazioni di raccolta e
smaltimento di rifiuti esterni; la "ratio commutativa della tariffa"
non sarebbe menomata dal ricorso a presunzioni forfettarie di rifiuti; il nesso
di corrispettività tra il servizio di raccolta dei rifiuti e la tariffa che lo
remunera non sarebbe poi stato escluso dalla sentenza della Corte Cost. n. 238
del 24/7/2009, che aveva comunque rilevato il collegamento tra la produzione
dei rifiuti e la copertura del costo; la decisione del tribunale sarebbe infine
"sorda di fronte all'interpretazione della Sesta direttiva ha offerta
dalla Corte di Giustizia Europea" che avrebbe a tal fine ritenuto
rilevante "l'essenza economica dello scambio fra le prestazioni e non la
cornice negoziale o autoritativa entro la quale lo stesso si realizza".
6. Con
terzo motivo la ricorrente assume la "violazione o falsa applicazione
dell'art. 13, comma 1 Direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, rilevante ex
art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile
alle prestazioni di servizi rese dalla Veritas, società per azioni di diritto
privato svolgente attività di impresa, l'esenzione soggettiva dall'Iva di
diritti, canoni, contributi percepiti dagli enti pubblici per le sole attività
od operazioni che essi esercitano in quanto pubbliche autorità".
L'esenzione di cui all'art. 13 citato si applicherebbe ai soli enti pubblici ed
all'esercizio di attività in veste di pubblica autorità, circostanze non
ricorrenti nel caso in esame. Quanto alla prima condizione, la Corte di
Giustizia avrebbe ripetutamente affermato che l'esenzione prevista dall'art. 4,
comma 1, n. 5, della sesta direttiva non opererebbe laddove l'attività venga
affidata ad un terzo, in posizione di autonomia, non integrato
nell'organizzazione della pubblica amministrazione. Relativamente alla seconda,
l'attività di raccolta e smaltimento non sarebbe svolta dalla società con
poteri o prerogative autoritativi, bensì nell'ambito di un'autonoma
organizzazione imprenditoriale.
7. Con
quarto motivo la ricorrente assume la "violazione o falsa applicazione
dell'art. 13, comma 1, secondo cpv. direttiva 2006/112/Ce in relazione all'art.
360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha tenuto in
alcun conto la condizione ostativa all'applicazione del regime di non
assoggettamento ad Iva di cui all'art. 13 cit., rappresentata dalla distorsione
della concorrenza di una certa importanza. Alternativamente, nullità della
sentenza per violazione dell'art. 101 c.p.c., comma 2 rilevante ex art. 360
c.p.c., n. 4, per avere il giudice di merito implicitamente giudicato non
sussistente alcun rischio di distorsione della concorrenza, senza avere
previamente sollecito il contraddittorio delle parti su tale questione".
La equiparazione tra ente pubblico e soggetto privato affidatario del servizio
di smaltimento dei rifiuti, operata dal Tribunale, determinerebbe il rischio di
distorsioni alla concorrenza. La Veritas, nel caso di mancata applicazione
dell'Iva sulle prestazioni da essa rese in favore degli utenti, si troverebbe a
vantare sistematicamente rilevanti crediti di Imposta nei confronti dello
Stato: da ciò la possibile qualificazione del meccanismo quale aiuto di stato
indiretto.
8. I
primi tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima
connessione, sono infondati.
La
normativa a fondamento delle questioni sollevate è costituita dal D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, art. 49 - con il quale venne soppressa a decorrere dal 1
gennaio 1999, la cd. Tarsu, disponendo che i costi per i servizi relativi alla
gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza
giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, fossero
coperti dai comuni mediante l'istituzione di una tariffa (usualmente denominata
Tariffa di Igiene ambientale)- composta da una quota determinata in relazione
alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli
investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota
rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e
all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura
integrale dei costi di investimento e di esercizio.
9. La
Corte costituzionale, giudicò infondata la questione di legittimità
costituzionale del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, conv. con modif. con L. n.
248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice
tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) lo
smaltimento dei rifiuti urbani, con sentenza 238/2009, ritenendo che il
prelievo presentasse tutte le caratteristiche del tributo, che il medesimo non
fosse pertanto inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisse una
mera variante della TARSU disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 (e successive
modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest'ultima.
Analoghi principi vennero affermati dalla Corte Cost., con la sentenza n.
64/2010.
10. Nell'adeguarsi
a tale orientamento, questa Corte, in sede di regolamento di giurisdizione, ha
affermato: In tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione
tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene
ambientale (TL4), in quanto, come evidenziato anche dall'ordinanza della Corte
costituzionale n 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata
patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata
dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo
(S.U. 14903/2010, 25929/2011).
11. Con
espresso riferimento alla applicabilità dell'iva al tributo in questione la 5a
sezione di questa Corte, con orientamento costante ha affermato: "la
tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, art. 49, non è assoggettabile ad IVA, in quanto essa ha
natura tributaria, mentre l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire una
qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o
servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui al D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, non quando si paga un'imposta, sia pure
destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente
(Sentenza n. 3293 del 02/03/2012;
Sez. 5,
Sentenza n. 3756 del 09/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 5831 del 13/04/2012).
12. In
contrasto con tale indirizzo sono le affermazioni contenute in alcune decisioni
della Sezione 1 di questa Corte, nell'ambito di giudizi aventi ad oggetto la
natura privilegiata, ex art. 2752 c.c., comma 3, del credito relativo al
tributo in questione, laddove leggesi: "La natura tributaria in questione
non può neppure essere contestata in base alla considerazione che la parte
terza della tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA,
preveda (n. 127 sexiesdecies) che le prestazioni di raccolta, trasporto
recupero e smaltimento dei rifiuti sia urbani che speciali siano soggette al
pagamento dell'IVA 10% E' sufficiente a tale proposito osservare che detta
previsione normativa è stata introdotta dal D.L. n. 557 del 1993, art. 4, comma
1, convertito con L. n. 133 del 1994, quando era ancora in vigore la TARSU, la
cui natura tributaria è sempre stata indiscussa. Il che dimostra che
l'applicazione dell'Iva all'importo corrisposto per smaltimento dei rifiuti
prescinde dalla sua natura tributaria o meno" (Cass. 5297/2009; Cass.
5298/2009; Cass. 5299/2009; Cass. 12006/2012; Cass. 12007/2012, Cass.
17768/2012; Cass. 17994/2014).
13.
Secondo queste Sezioni Unite va dato seguito all'indirizzo espresso dalla
Sezione Tributaria, non senza rilevare che la questione dell'assoggettamento ad
Iva della Tia 1 non costituiva espressamente oggetto delle pronunce della
Sezione la, risultando un mero obiter a favore della natura non privatistica
della Tia nell'ambito della disciplina speciale in tema di crediti
privilegiati.
14.
Tale determinazione trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che
caratterizzano la cd. Tia 1, elementi costituiti dall'assenza di volontarietà
nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da
parte del soggetto pubblico - essendo irrilevanti le varie forme di
attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici - nonchè
dall'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad IVA
(D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4).
15.
Questo indirizzo è altresì conforme all'art. 13 della direttiva 2006/112 CE
-secondo cui "Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri
enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività
od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in
relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni,
contributi o retribuzioni"-.
16. Va
in proposito rilevato che l'ordinamento Eurocomunitario reputa essenziale la
gestione dei rifiuti, tanto da addossare sui singoli Stati l'obbligo di
adottare le misure necessarie atte a garantire il recupero, riutilizzo,
riciclaggio e smaltimento dei rifiuti medesimi (artt. 4, 10, 12 e 13 dir.
"008/98 CE), rimettendo alla discrezionalità degli Stati medesimi la
determinazione degli oneri correlati ai costi di gestione ("allo stato
attuale del diritto comunitario, non vi è alcuna normativa adottata in base
all'art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al
finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale
finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere
indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra
modalità".... "le competenti autorità nazionali dispongono di
un'ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità
di calcolo di siffatta tassa" punti 48 e 50 cent. 15/7/2009, causa
C-254/08).
17. E
che tale servizio sia connesso all'esercizio di attività di pubblica autorità
trova conforto anche nelle decisioni della Corte di Giustizia (Quarta Sezione
nella causa C- 174/14 punto 71) secondo cui: l'esenzione prevista all'art. 13,
paragrafo 1, comma 1, della direttiva 2006/112 concerne principalmente le
attività esercitate dagli enti di diritto pubblico in quanto pubbliche autorità
che, pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all'esercizio
di prerogative di pubblico potere (sentenza Isle of Wight Council e a.,
C-288/07, EU:C:2008:505, punto 31); nonchè nella Sentenza del 14 dicembre 2000,
nella causa C-446/98 (punti 15-17), secondo cui: alla luce degli obiettivi
della sesta direttiva, mette in evidenza che per l'applicazione dell'esenzione
devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire
l'esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l'esercizio di attività
in veste di pubblica autorità (v., segnatamente, sentenza 25 luglio 1991, causa
C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, Racc. pag. 1-4247, punto 18). 1 - 11469
SENTENZA 14. 12. 2000 - CAUSA C-446/9816 Per quanto riguarda quest'ultima
condizione, sono le modalità di esercizio delle attività in esame che
consentono di determinare la portata dell'esenzione degli enti pubblici
(sentenze 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, Comune di Carpaneto
Piacentino e a., Racc. pag. 3233, punto 15, e 15 maggio 1990, causa C4/89,
Comune di Carpaneto Piacentino e a., Racc. pag. 1-1869, punto 10). 17 Risulta
così da una consolidata giurisprudenza della Corte che le attività esercitate
in quanto pubbliche autorità, ai sensi dell'art. 4, comma 1, n. 5, della sesta
direttiva, sono quelle svolte dagli enti pubblici nell'ambito del regime
giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso
regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati.(v. sentenze 12
settembre 2000, causa C276/97, Commissione/Francia, punto 40, causa C-358/97,
Commissione/Irlanda, punto 38, causa C-359/97, Commissione/Regno Unito, punto
50, causa C-408/97, Commissione/Paesi Bassi, punto 35, e causa C-260/98,
Commissione/Grecia, punto 35).
18.
Anche la necessità di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e
controprestazione, ai fini della imponibilità, risulta conforme alla
giurisprudenza comunitaria. Nella Sentenza della Terza Sezione del 20 giugno
2013, nella causa C-653/11, p. 40) leggesi: "Ai sensi dell'art. 2, punto
1, della sesta direttiva, sono soggette a IVA "le cessioni di beni e le prestazioni
di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto
passivo che agisce in quanto tale". Con riferimento, più in particolare,
alla nozione di prestazione di servizi, la Corte ha affermato in più occasioni
che una prestazione di servizi è effettuata "a titolo oneroso" ai
sensi dell'art. 2, punto 1, di tale direttiva e, pertanto, configura
un'operazione imponibile solo quando tra l'autore di tale prestazione e il suo
destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno
scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto
dall'autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del
servizio fornito al beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, MacDonald
Resorts, C- 270/09, Racc. pag. 1-13179, punto 16 e giurisprudenza ivi
citata)".
Egualmente
nella Sentenza della Quarta Sezione del 29 ottobre 2015, causa C- 174/14, ai
punti 31 e 32, si è ritenuto: Sono assoggettate all'IVA, in generale e
conformemente all'art. 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, le prestazioni
di servizi fornite a titolo oneroso, comprese quelle fornite dagli enti di
diritto pubblico. Gli artt. 9 e 13 della stessa direttiva attribuiscono
pertanto un ambito di applicazione molto ampio all'IVA (sentenza
Commissione/Paesi Bassi, C-79/09, EU:C:2010:171, punto 76 e giurisprudenza ivi
citata).
32. La
possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo
oneroso presuppone unicamente l'esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione
e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso
diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un
rapporto giuridico nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche
prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore
effettivo del servizio prestato al destinatario (v., in particolare, sentenza
Serebryannay veli, C-283/12, EU:C:20I 3:599, punto 37 e giurisprudenza ivi
citata).
19.
Inoltre, nella determinazione della base imponibile, la Corte di giustizia ha
affermato "...affinchè imposte, dazi, tasse e prelievi possano rientrare
nella base imponibile dell'IVA, pur non rappresentando un valore aggiunto e non
costituendo il corrispettivo economico della cessione del bene, essi devono
presentare un legame diretto con tale cessione" (Corte giust 28 luglio
2011, C-106/10, punto 33; Corte giust. 22 dicembre 2010, C-433/09,
Commissione/Austria, punto 34), successivamente precisando che tale legame
diretto è ravvisabile allorquando le tasse, i tributi e i prelievi divengono
esigibili dal momento che sono forniti e solo quando sono forniti i servizi
(Corte giust. in C-618/11, C-637/11 e C- 659/11, TVI - Televisao Independente
SA, punto 41).
20.
Irrilevante ai fini di causa è quindi il disposto della voce 127 sexiesdecies
dalla tabella A parte 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, relativa ai beni e servizi
soggetti all'aliquota del 10%, secondo cui: le "prestazioni di gestione,
stoccaggio e deposito temporaneo, previste dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22,
art. 6, comma 1, lett, d), l) e m), di rifiuti urbani di cui all'art. 7, comma
2, e di rifiuti speciali di cui all'art. 7, comma 3, lett. g), del medesimo
decreto, nonchè prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione";
nonche il D.M. il D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, nel disciplinare le modalità di
riscossione dell'IVA, prevede espressamente, all'art. 1, che "Per le
operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei
rifiuti solidi urbani e assimilati, di fognatura e depurazione, possono essere
emesse bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui al
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26 e successive modificazioni, sempre chè
contengano tutti gli elementi di cui all'art. 21 del medesimo decreto".
Tali disposizioni sono infatti applicabili nei casi in cui le prestazioni in
esame vengano svolte "con corrispettivo", elemento assente, per
quanto sopra ritenuto, nel caso in esame.
21. Va
pertanto esclusa rilevanza alla questione prospettata con il terzo motivo di
ricorso, nonchè la sussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia, come richiesto da parte ricorrente in sede di memorie.
22.
Inammissibile è il quarto motivo di Sorso non risultando la questione oggetto
del giudizio di merito e comportando la stessa nuovi accertamenti di fatto
Cass. n. 3796/2013; Cass. n. 11642/2010, Cass. n. 2420/2006).
23.
Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente
alla rifusione, in favore del B., delle spese del giudizio di cassazione che si
liquidano in complessivi Euro 1.100,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
24. Ai
sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, la ricorrente
è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l'impugnazione.
P.Q.M.
La
Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente alla rifusione, in favore del B., delle spese del giudizio di
cassazione che si liquidano in complessivi Euro 1.100,00 oltre Euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Ai
sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente
è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l'impugnazione.
Così
deciso in Roma, il 9 febbraio 2016.
Depositato
in Cancelleria il 15 marzo 2016
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