lunedì 22 febbraio 2016

Ammissione al passivo degli interessi moratori. Il riconoscimento degli interessi di cui al D.Lgs. n. 321/2002, per i crediti sorti prima dell’apertura di una procedura esecutiva.






La domanda di ammissione al passivo in una procedura concorsuale per la parte che riguarda gli interessi moratori chiesti ai sensi del D.Lgs.n. 321/2002 può essere accolta?
Molto spesso capita che il commissario giudiziale, se si tratta di concordato, o il curatore fallimentare, in caso di fallimento, non ammettano al passivo la somma indicata a titolo di interessi moratori ex D.Lgs.n.321/2002, tutte le volte in cui questi non siano stati liquidati in un titolo giudiziale (es: sentenza passata in giudicato o decreto ingiuntivo non opposto) ma si fondano unicamente su fatture commerciali non pagate.
Che cosa accade, quindi, quando il credito per il quale si chiede l’ammissione al passivo si fonda su fatture commerciali e gli interessi moratori sono chiesti in base al D.Lgs.n. 321/2002?

Secondo l’innovativo orientamento giurisprudenziale della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano, deve trovare accoglimento la domanda di ammissione al passivo degli interessi moratori ex D.Lgs.n. 321/2002, maturati dal momento dell’esigibilità del credito e fino all’apertura della procedura esecutiva (es. pubblicazione sentenza di fallimento) che riguarda l’impresa debitrice.

Come noto con il D.Lgs.n.231/2002 si è data attuazione nel nostro paese alla Direttiva Comunitaria 2000/35/CE, che ha quale ratio la lotta contro i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali attraverso l’introduzione di forme di tutela del creditore volte a disincentivare l’inadempimento o il ritardato adempimento nei pagamenti.
La normativa su richiamata disciplina la maturazione degli interessi moratori relativamente a rapporti di credito/debito che originano da transazioni commerciali, così come specificato dagli articoli 1 e 2 di detto decreto.

L’art.4, comma 1,D.Lgs. n. 231/2002, prevede l’applicabilità automatica degli interessi moratori nella misura stabilita dal richiamato decreto a decorrere dal giorno successivo a quello della scadenza dell’obbligazione, senza che sia necessaria da parte del creditore alcuna costituzione in mora del debitore ai sensi dell’art. 1219 c.c., derogando così alla disciplina generale prevista dal codice civile.
Detto ciò si tratta di soffermarci adesso su quanto disposto dall’art.1, comma 2, lettera A) delD.Lgs. n. 321/2002, che prevede la non applicabilità del citato decreto nelle ipotesi di “debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore”.

Secondo l’interpretazione più restrittiva della norma si dovrebbe sempre escludere l’ammissione al passivo degli interessi moratori ex D.Lgs.n. 321/2002, quando richiesti sulla base di fatture commerciali non pagate. Questa lettura del divieto di cui all’art.1,comma 2, lettera A) del D.Lgs. n. 321/2002 è quella maggiormente seguita dai vari commissari giudiziali e/o curatori fallimentari per giustificare l’esclusione degli interessi moratori richiesti dall’imprenditore a fronte di fatture commerciali non onorate.

Di diverso avviso è invece il Tribunale di Milano che dà di detta norma una lettura molto meno stringente arrivando a riconoscere come diritto ormai acquisito dall’imprenditore commerciale gli interessi ex D.Lgs.n. 321/2002, maturati dal momento della scadenza dell’obbligazione e fino all’apertura della procedura concorsuale che interessa il debitore (es. pubblicazione della sentenza di fallimento).

Questa seconda interpretazione della norma richiamata appare maggiormente in linea con quelle che sono le finalità del D.Lgs.n. 321/2002, infatti, una totale esclusione della normativa in esso contenuta nel caso di procedure concorsuali, determinerebbe un’inaccettabile sperequazione di trattamento per fattispecie sostanzialmente analoghe che verrebbero trattate in maniera diversa andando a tradire la stessa ratio legis del richiamato Decreto che è quella di tutelare il creditore dal ritardo o dall’inadempimento nei pagamenti nell’ambito delle transazioni commerciali fra imprenditori.

Tale linea interpretativa è unicamente dovuta a quanto indicato dal Dott. Bartolomeo Quartaro con una circolare dallo stesso emanata il 21 aprile 2007 dal quando era Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano, in cui il Magistrato ha indicato delle linee guida, ancora oggi seguite dalla sezione milanese e non solo, dalle quali si evince, in tema di ammissione al passivo degli interessi moratori, che: “quanto poi alle obbligazioni pecuniarie assunte dall’imprenditore prima del suo assoggettamento a procedure concorsuali, ritengo che gli interessi moratori siano dovuti se la data di scadenza del pagamento (nella tipologia fissata dall’art. 4) è già maturata; non dovuti se non ancora maturata. Nel primo caso, sul credito capitale corrono gli speciali interessi moratori del decreto legislativo in esame (n. 231/2002 n.d.r.) fino alla data di apertura della procedura concorsuale, data a partire dalla quale opera il divieto di pagamento dei crediti per titolo o causa anteriore”.

Alla circolare su richiamata il Tribunale di Milano ha fatto seguire anche il decreto n. 833/08 del 21.01.2008, con il quale ha statuito: “con il D.lgs 231/02 il legislatore ha dato applicazione nel nostro ordinamento alla direttiva europea adottata in materia di lotta contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. L’art. 1 del citato decreto delimita l’ambito di applicazione del decreto ad “ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale”. E’ previsto che tale disposizione non si applichi “ai debiti oggetto di procedura concorsuali aperte a carico del debitore”. Appare indubbio che gli interessi non siano dovuti per il periodo successivo all’apertura della procedura concorsuale e, coerentemente, il ricorrente ha formulato la propria domanda limitando la richiesta del riconoscimento degli interessi dalla data di scadenza delle fatture fino al fallimento. Viceversa prima della dichiarazione di fallimento, le obbligazioni contratte dal debitore producono, ai sensi dell’art. 4 del citato decreto, interessi moratori automaticamente, senza necessità di formale messa in mora, dal primo giorno successivo al mancato pagamento. Proprio la ratio della normativa esaminata è stata quella di approntare una più efficace tutela a fronte dei ritardi nell’adempimento delle transazioni commerciali sicché alla produzione degli interessi dipendenti corrisponde il perfezionarsi del diritto alla obbligazione accessoria. La natura sostanziale della norma esaminata e il suo tenore letterale non consentono una interpretazione tale da condurre all’affermazione di una inopponibilità alla massa dei crediti di interessi moratori da obbligazione pecuniaria già maturati”.

Nel solco di un orientamento interpretativo ormai ben delineato dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano si colloca anche una recente sentenza di detto Tribunale dalla quale si evince: “ove il rapporto negoziale sottostante consenta l’applicazione del decreto legislativo citato la sopravvenuta dichiarazione di fallimento non può incidere su un diritto ormai acquisito, qual è quello volto ad ottenere oltre che il pagamento del capitale, anche degli accessori maturati tra il momento della scadenza dell’obbligazione ed il fallimento” (Tribunale di Milano, Sez. II, 26/08/2014 n. 10419).

La giurisprudenza di merito non è affatto univoca sul punto e molte decisioni sono andate in direzione diametralmente opposta da quelle prese dal Tribunale di Milano, infatti, il Tribunale di Mantova con una recente sentenza del 13 maggio 2014 ha così stabilito: “la previsione dell’art. 1 del D.Lgs. n. 231/2002 (…), deve essere interpretata nel senso che deve escludersi in sede fallimentare il debito per interessi di mora al tasso cosiddetto commerciale, potendo quindi il creditore essere ammesso al passivo del fallimento per gli interessi sui crediti commerciali scaduti anteriormente alla dichiarazione di fallimento solo nei limiti del tasso legale cui all’art. 1284 c.c., fatta salva ovviamente l’ipotesi in cui la debenza di detti interessi sia affermata da un titolo giudiziale passato in giudicato”.

La linea seguita dal Tribunale di Milano nell’applicare il divieto di cui all’art.1,comma 2,lettera A) del D.Lgs. n. 321/2002, sembra dare una lettura più logica del citato disposto normativo in quanto tiene conto delle finalità del Decreto Legislativo e maggiormente tutela l’imprenditore dal pregiudizio che lo stesso avrebbe dal ritardato pagamento delle fatture emesse nell’ambito di una transazione commerciale, cosa che non si realizzerebbe se allo stesso fosse impedito di insinuare al passivo oltre al capitale anche gli interessi moratori maturati su di esso prima dell’apertura della procedura esecutiva.
Per dirimere la questione è auspicabile che sul contrasto giurisprudenziale in atto si pronunci quanto prima la Corte di Cassazione.

Per il momento nel caso nel caso in cui il curatore fallimentare non ammettesse al passivo gli interessi moratori richiesti ex D.Lgs.n. 321/2002, su fatture commerciali non pagate, il creditore potrà presentare delle osservazioni scritte allo stato passivo fino a cinque giorni prima dell’udienza di discussione così come previsto dall’art. 95 L.F..   




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